sentenza n. 20218/2016 della Corte di Cassazione con la quale ha ritenuto valida la risoluzione del rapporto da parte del datore di lavoro per assenza ingiustificata dal lavoro per tre giorni consecutivi per l’assenza del lavoratore dal posto di lavoro.

Gentili colleghi,

ritenendo di fare cosa gradita nei confronti degli associati e non, lo Staff ILA, segnala la sentenza n. 20218/2016 della Corte di Cassazione< con la quale ha ritenuto valida la risoluzione del rapporto da parte del datore di lavoro per assenza ingiustificata dal lavoro per tre giorni consecutivi per l’assenza del lavoratore dal posto di lavoro senza giustificazione ma anche per assenza di buona fede.

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Con la sentenza n. 20218/2016 della Corte di Cassazione< ha ritenuto valida la risoluzione del rapporto da parte del datore di lavoro per assenza ingiustificata dal lavoro per tre giorni consecutivi per l’assenza del lavoratore dal posto di lavoro senza giustificazione ma anche per assenza di buona fede.

Sentenza della Corte di Cassazione n. 20218/2016<

Civile Sent. Sez. L Num. 20218 Anno 2016 Presidente: NOBILE VITTORIO Relatore: VENUTI PIETRO Data pubblicazione: 07/10/2016<

SENTENZA

sul ricorso 4466-2014 proposto da:

XXXXXX XXXXXXXX C.F. XXXXXXXXXXX, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 76, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO DONNANGELO, rappresentato e difeso dall’avvocato LAMBERTO RONGO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

Contro

A.R.P. – AGRICOLTORI RIUNITI PIACENTINI SOC. AGR. COOP. P.I. 00110870334, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA CRESCENZIO 58, presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che la appresenta e difende unitamente all’avvocato AUGUSTO GRUZZA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 831/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 06/08/2013, R.G. N. 491/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/07/2016 dal Consigliere Dott. PIETRO VENUTI;

udito l’Avvocato PIER LUIGI PANICI per delega LAMBERTO RONCO;

udito l’Avvocato BRUNO COSSU;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

R.G. n. 4466/14 Ud. 7.7.2016

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Piacenza dichiarava illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato a Xxxxxxxx Xxxxxx dalla A.R.P. Agricoltori Riuniti Piacentini Soc. Agr. Coop. il 25 maggio 2007 e la condannava a reintegrare il predetto dipendente nel posto di lavoro ed al risarcimento dei danni subiti, pari alle retribuzioni dalla data del recesso sino alla reintegra.

Proponeva impugnazione la società e la Corte d’appello di Bologna, con sentenza resa pubblica il 6 agosto 2013, dichiarava legittimo il licenziamento per giustificato  motivo soggettivo e condannava la società al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.

La Corte anzidetta rilevava che la condotta del dipendente – il quale, dopo una lunga assenza per infortunio, si era assentato dal lavoro per tre giorni consecutivi senza avvertire il datore di lavoro della sua impossibilità di rendere la prestazione e di volere usufruire di ferie arretrate – costituiva un inadempimento idoneo a rendere legittimo il licenziamento. Al riguardo dovevano essere valutate, nel giudizio di proporzionalità, effettuato ex art 2106 cod. civ., la posizione ricoperta dal dipendente e la sua elevata qualifica nonché la mancanza di buona fede dimostrata dal medesimo, il quale, assentandosi dal lavoro, aveva reso giustificazioni risultate non vere. Tali circostanze, complessivamente considerate, consentivano di affermare che il recesso fosse sorretto da giustificato  motivo soggettivo, con conseguente diritto del dipendente alla indennità sostitutiva del preavviso, pari a sei mensilità.

Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso il lavoratore sulla base di un solo motivo. Resiste con controricorso la società.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo del ricorso si denuncia violazione degli artt. 2106 e 1455 cod. civ., 1 e 3 della legge n. 604 del 1966 nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione delle parti.

Si deduce che la Corte di merito ha omesso “l’esame concreto e complessivo dei fatti, sotto il profilo sia oggettiva che soggettivo“; che ha violato i principi in tema di proporzionalità delle sanzioni, non considerando che la massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali; che nella specie non è stato tenuto conto dell’assenza di precedenti procedimenti disciplinari nell’arco di venti anni, delle mansioni svolte dal dipendente non implicanti particolari responsabilità e delicatezza, della ricorrenza di “indici minimali di intensità dolosa“, della particolare tenuità del fatto; che le argomentazioni svolte dal giudice d’appello erano prive di coerenza logica sia in merito alla ritenuta insussistenza di giustificazioni sia in ordine alla asserita mancanza di buona fede; che, anche a voler ritenere che il lavoratore non avesse giustificato l’assenza dal lavoro, tale condotta non poteva ritenersi così grave da compromettere irrimediabilmente il vincolo fiduciario che connota il rapporto di lavoro; che la sentenza impugnata non aveva adeguatamente considerato il fatto decisivo che il Xxxxxx, dopo un anno di assenza dal lavoro per infortunio, aveva ripreso la propria attività con difficoltà e faticosità e in condizioni di evidente stress psico-fisico, alternando a periodi di presenza al lavoro periodi di astensione.

2. In replica a tale motivo, la società rileva che l’assenza ingiustificata dal lavoro protrattasi per tre giorni consecutivi costituisce, ai sensi dell’art. 38 CCNL per i dipendenti delle cooperative e dei consorzi agricoli, giusta causa di immediata risoluzione del rapporto; che, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, questi non aveva avvertito la società della sua assenza né tanto meno aveva chiesto di usufruire delle ferie; che era da escludere la sussistenza presso la società di una prassi in materia di ferie e permessi che consentiva ai dipendenti di assentarsi dal lavoro senza l’autorizzazione del datare di lavoro; che tutto ciò escludeva che il Xxxxxx si fosse assentato in buona fede.

3. Il ricorso non è fondato.

Premesso che è incontestato che l’assenza ingiustificata dal lavoro per tre giorni consecutivi, in base alla previsione di cui all’art. 38 del contratto collettivo applicabile nella specie, rende giustificata l’immediata risoluzione del rapporto da parte del datore di lavoro, deve osservarsi che la giusta causa ed il giustificato  motivo soggettivo del licenziamento costituiscono qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l’uno con effetto immediato e l’altro con preavviso.

Al riguardo questa Corte ha più volte affermato che in tema di licenziamento, la valutazione della gravità del fatto in relazione al venir meno del rapporto fiduciario che deve sussistere tra le parti non va operata in astratto, ma con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidabilità richiesto dalle singole mansioni, nonché alla portata soggettiva del fatto, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale e di quello colposo (Cass. 26 luglio 2011 n. 16283; Cass. 1 marzo 2011 n. 5019; Cass. 3 gennaio 2011 n. 35).

E’ stato altresì precisato che, in tema di licenziamento individuale per giusta causa o giustificato  motivo soggettivo, il giudizio circa la gravità delle infrazioni commesse dal lavoratore subordinato e la loro attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento implica un accertamento di fatto demandato al giudice di merito, la cui valutazione è incensurabile in cassazione se priva di errori logici o giuridici (Cass. 23 agosto 2004 n. 16628; Cass. 19 ottobre 2007 n. 21965; Cass. 8 gennaio 2008 n. 144; Cass. 20 luglio 2010 n. 17514).

Se è vero, poi, che in tema di licenziamento, la nozione di giusta causa è nozione legale e il giudice non è vincolato alle previsioni di condotte integranti la giusta causa contenute nei contratti collettivi, tuttavia ciò non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità (Cass. n. 2906/05; Cass. n. 27464/06). Ed infatti, la individuazione, ad opera della contrattazione collettiva, delle condotte disciplinarmente rilevanti e delle sanzioni alle medesime correlate costituisce espressione della volontà delle parti, in esplicazione del potere di autonomia sindacale, di regolare il potere disciplinare del datare di lavoro e, ad un tempo, di dare certezza ai lavoratori sulla rilevanza disciplinare delle condotte e sulle conseguenze a questa correlate.

Nella specie, la Corte di merito ha ritenuto che il Xxxxxx non solo si è assentato dal lavoro senza giustificare l’assenza, ma ha fornito, al fine di giustificare la sua condotta, giustificazioni risultate non vere, circostanze queste che all’evidenza dimostravano la sua mancanza di buona fede e che erano idonee a ledere irrimediabilmente la fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro, tenuto conto della sua elevata qualifica e della posizione da lui ricoperta (capo reparto e conduttore di evaporatori, con qualifica, da ultimo, A2).

Ha quindi ritenuto, con valutazione incensurabile in sede di legittimità, adeguatamente motivata e priva di vizi, che tale condotta, costituendo un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (art. 3 L. 604/66) fosse idonea ad integrare l’ipotesi del giustificato  motivo soggettivo di licenziamento.

Del tutto priva di rilievo, oltre che infondata, è poi, la censura relativa all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, e cioè che il Xxxxxx, dopo un anno di assenza dal lavoro per infortunio, ha ripreso la propria attività con difficoltà e faticosità e in condizioni di evidente stress psico-fisico, alternando a periodi di presenza al lavoro periodi di astensione.

Al riguardo, deve rilevarsi che, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 8053/14), l’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del dl. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli arti 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nella specie non solo non risultano indicati i suddetti elementi, ma di nessun rilievo appare la circostanza, dedotta dal ricorrente, secondo cui il medesimo, dopo un lungo periodo di assenza per infortunio, ha ripreso la propria attività con difficoltà e faticosità e in condizioni di evidente stress psico-fisico, dovendosi anzi osservare che la lunga assenza dal servizio avrebbe dovuto consigliargli un maggior scrupolo nell’assentarsi dal lavoro, informandone previamente il datare di lavoro e giustificando l’assenza.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

4. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Il ricorrente è tenuto al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso (art. 13 D.P.R. n. 115 del 2002<).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in C 100,00 per esborsi ed C 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi all’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002<, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma in data 7 luglio 2016.

Cass. 26 luglio 2011 n. 16283;

Cass. 1 marzo 2011 n. 5019;

Cass. 3 gennaio 2011 n. 35

Cass. 23 agosto 2004 n. 16628;

Cass. 19 ottobre 2007 n. 21965;

Cass. 8 gennaio 2008 n. 144;

Cass. 20 luglio 2010 n. 17514;

Cass. n. 2906/05;

Cass. n. 27464/06;

sent. n. 8053/14

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