Sentenza della Corte di Cassazione 14305/2016 con la quale la Corte di Cassazione, relativamente alla valutazione di legittimità di un licenziamento disciplinare, ha ritenuto che il diritto alla difesa prevale sulle esigenze legate alla segretezza

Gentili colleghi,

ritenendo di fare cosa gradita nei confronti degli associati e non, lo Staff ILA, segnala la Sentenza della Corte di Cassazione 14305/2016< con la quale la Corte di Cassazione, relativamente alla valutazione di legittimità di un licenziamento disciplinare, ha ritenuto che il diritto alla difesa prevale sulle esigenze legate alla segretezza di documenti aziendali.

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Sentenza della Corte di Cassazione 14305/2016, Civile Sent. Sez. L Num. 14305 Anno 2016 Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: GHINOY PAOLA Data pubblicazione: 13/07/2016<

SENTENZA<

sul ricorso 17649 – 2013 proposto da:

XXXXXX S.P.A. C.F. 01770650909, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO MORDINI 14, presso lo studio dell’avvocato MANLIO ABATI, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

Contro

XXXXXX XXXXXX XXXXXX C.F. XXXXXX, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAllA ADRIANA 15, presso lo studio dell’avvocato STEFANO ROMANO, 2016 778 Civile Sent. Sez. L Num. 14305 Anno 2016 Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: GHINOY PAOLA Data pubblicazione: 13/07/2016 Corte di Cassazione – copia non ufficiale rappresentato e difeso dall’avvocato XXXXXX, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 283/2012 della CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI SEZ. DIST. di SASSARI, depositata il 17/07/2012 R.G.N. 114/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/02/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito l’Avvocato XXXXXX;

udito l’Avvocato XXXXXX;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Xxxxxx Xxxxxx Xxxxxx veniva licenziato da Xxxxxx s.p.a. con comunicazione in data 20.9.2008 e successivamente con lettera raccomandata ricevuta il 23.9.2008, a seguito di contestazione disciplinare nella quale si diceva che dall’esame dei documenti che egli aveva prodotto nella controversia per il riconoscimento di mansioni superiori promossa contro la società era emerso che si fosse impossessato ed avesse reso pubblica upa lettera riservata personale inviata dal direttore ad altra dipendente in data 20 luglio 2007 e che egli avesse inviato dal suo indirizzo e-mail aziendale al suo indirizzo e-mail personale diversa documentazione, di varia natura, attinente rapporti che Xxxxxx s.p.a. intrattiene con fornitori e committenti.

La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con la sentenza n. 283 depositata il 17 luglio 2012, confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato l’inefficacia e l’illegittimità del licenziamento ed aveva ordinato alla società di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e di corrispondergli una somma pari alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione. La Corte territoriale condivideva in primo luogo la valutazione di inefficacia del licenziamento: argomentava che la prima comunicazione in azienda non risultava essere stata fatta per iscritto in quanto l’unico teste presente aveva riferito che contestualmente alla comunicazione lo Xxxxxx aveva avuto un malore ed era stato portato via con ambulanza; peraltro, anche qualora la comunicazione fosse avvenuta per iscritto, essa non avrebbe avuto la forma della raccomandata prevista dal codice disciplinare, sicché l’unica comunicazione rituale era quella del 23 settembre, inefficace in quanto ricevuta in costanza di malattia. Il licenziamento era altresì illegittimo ad avviso della Corte, in quanto l’art. 8 del codice disciplinare aziendale richiamato dall’appellante a giustificazione del recesso per giusta causa lo prevede per l’ipotesi in cui il dipendente violi l’obbligo di fedeltà ovvero per conto proprio o di terzi esplichi attività in concorrenza ed allo stesso fine divulghi notizie attinenti l’azienda, mentre l’eventuale divulgazione per qualunque altro fine non poteva fondare il recesso e la produzione in giudizio dei documenti neppure poteva integrare una divulgazione. Peraltro, aggiungeva la Corte, si trattava di documenti attinenti pratiche curate dallo stesso appellato e venute in suo possesso perché indirizzate alla sua posta personale, né l’azienda aveva provato che vi fosse divieto di lavorare o ultimare il lavoro a casa e quindi di trasmettersi documentazione via e-mail all’indirizzo privato; neppure risultava che la lettera riservata personale fosse stata illecitamente sottratta, in quanto un teste aveva riferito che egli l’aveva trovata sulla propria scrivania.

Per la cassazione della sentenza Xxxxxx s.p.a. ha proposto ricorso, affidato a 13 motivi, illustrati anche con memoria ex art. 38 c.p.c., cuj ha resistito con controricorso Xxxxxx Xxxxxx Xxxxxx

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso vengono di seguito riassunti, accorpati per temi in quanto in tale ambito connessi.

1.1. Quelli dal primo al settimo attingono l’accertamento operato dalla Corte d’appello dell’inefficacia del licenziamento, in relazione al quale il giudice di merito sarebbe incorso nel vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ed avrebbe altresì violato plurime disposizioni di legge, in particolare in relazione a ciascun motivo così indicate: l’art. 2110 c.c. in relazione all’articolo 2119 c.c.; gli artt. 1362 e seguenti c.c. in relazione all’art. 8 del codice disciplinare aziendale; l’art. 115 c.p.c.; gli artt. 2110 ss. c.c. in relazione agli articoli 1334 e 1335 c.c., gli articoli 115 e 116 c.p.c.; l’art. 2110 e seguenti c.c. in relazione agli articoli 2 della L. n. 604 del 1966, 1334, 1335 c.c. e 138 c.p.c., nonché 115 e 116 c.p.c.; l’art. 1350 primo comma n. 13 c.c. in relazione all’art. 2 della L. n. 604 del 1966 e all’art. 1352 c.c., 1362 e seguenti c.c. in relazione all’art. 2 dei codice disciplinare aziendale, 115 c.p.c.; gli artt. 1362 e seguenti c.c. in relazione all’art. 2 del codice disciplinare aziendale e 115 c.p.c.; gli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2110 c.c. in relazione all’articolo 2119 c.c., nonché 149 c.p.c.; gli artt. 1362 e seguenti c.c, in relazione all’art. 2 del codice disciplinare aziendale, 1362 e seguenti c.c. in relazione all’articolo 1371 c.c., 115 c.p.c..

Sostiene la ricorrente: che l’inefficacia del licenziamento intimato nel periodo di malattia, prevista dall’articolo 2110 c.c., non si applicherebbe al licenziamento intimato per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 c.c., quale è quello di cui si discute; che la malattia era intervenuta dopo la consegna della lettera di licenziamento, validamente avvenuta con lettera raccomandata a mano il 20 settembre 2008, come risulterebbe dalla deposizione della teste Lara Dian che aveva riferito che il direttore aveva consegnato la lettera al ricorrente, anche se non era certa che questi l’ avesse firmata, essendo stato male; né poteva rilevare il fatto che il lavoratore potesse aver rifiutato di riceverla; che comunque il licenziamento era stato comunicato a mezzo di lettera raccomandata a mezzo del servizio postale inviata il 19 settembre 2008.

2. I motivi dall’ottavo al tredicesimo attingono la sentenza della Corte territoriale laddove ha ritenuto l’insussistenza della giusta causa di recesso.

La ricorrente deduce che la Corte di merito sarebbe incorsa nel vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ed avrebbe altresì violato plurime disposizioni di legge, in particolare in relazione a ciascun motivo così indicate: artt. 1362 seguenti c.c. in relazione all’articolo 2105 c.c., 115 c.p.c.; l’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 8 del codice disciplinare aziendale, l’art. 115 c.p.c.; l’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 8 del codice disciplinare aziendale, gli artt. 1362 seguenti c.c. in relazione all’art. 2119 c.c., 1362 c.c. in relazione all’articolo 2105 c.c., 2697 c.c., 115 c.p.c.; gli artt. 1362 seguenti c.c. in relazione all’art. 8 del codice disciplinare aziendale; gli artt. 1362 seguenti c.c. in relazione all’articolo 2119 c.c.; gli artt. 1362 ss. c.c. in relazione all’articolo 2105 c.c., 115 e 116 c.p.c.; gli artt. 1362 seguenti c.c. in relazione agli artt. 89 del codice disciplinare aziendale, 15 della Costituzione, 115 c.p.c.; gli artt. 1362 seguenti c.c. in relazione all’articolo 8 del codice disciplinare aziendale, 1362 seguenti c.c. in relazione all’articolo 2119 c.c., 1362 seguenti c.c. in relazione agli artt. 2104, 2105, 2106 c.c., 23 del decreto legislativo 196/2003, 115 e 116 c.p.c..

La società lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto che, seppur disciplinarmente rilevante, la condotta posta in essere dallo ‘ovine non rientrasse nella previsione dell’art. 8 dei codice disciplinare aziendale, in quanto la disposizione richiede che la divulgazione di notizie riservate aziendali sia passibile di licenziamento solo quando sia finalizzata all’espletamento di attività in concorrenza. Sostiene che I’ art. 2105 c.c. comprenda tutti i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa. Riferisce che la divulgazione dei documenti aziendali viola la segretezza della corrispondenza, che all’interno dei documenti prodotti nel giudizio di fronte al giudice del lavoro alcuni attenevano a rapporti con terzi e fornitori, la cui divulgazione era idonea ad alterare la parità di trattamento tra i fornitori, cui è tenuta Xxxxxx cui si applica la normativa sugli appalti in quanto società in house della provincia di Sassari. In relazione alla lettera riservata personale rivolta alla dott.ssa Barbara Xxxxxx, sostiene che doveva essere il ricorrente a dimostrare come egli ne fosse venuto lecitamente in possesso, non essendo sufficiente la testimonianza resa dal teste Xxxxxx secondo il quale egli aveva trovato la comunicazione sulla scrivania, considerato che le testi Xxxxxx, Xxxxxx e Xxxxxx avevano riferito di non aver consegnato né tantomeno lasciato la lettera sulla scrivania dello Xxxxxx. Sostiene che da tutte le risultanze fattuali emergerebbe la gravità della condotta posta in essere dal lavoratore, che aveva l’abitudine di trattenersi in ufficio oltre l’orario di lavoro, in assenza di una prassi aziendale che consentisse di svolgere il lavoro a casa trasmettendo le mali aziendali.

3. I motivi concernenti l’esistenza (o meno) della giusta causa di recesso vengono esaminati per primi, in quanto riguardano l’illegittimità originaria dell’atto di recesso, laddove la ritenuta inefficacia attiene alla sua comunicazione e quindi ad un momento successivo.

3.1. All’esame di tali motivi occorre premettere che la decisione della Corte territoriale, che ha ritenuto l’insussistenza della giusta causa di recesso, è fondata su due distinte rationes decidendi: da un lato, la Corte di merito ha ritenuto che l’art. 8 del codice disciplinare preveda che la divulgazione di notizie riservate aziendali sia passibile di licenziamento solo quando sia finalizzata all’espletamento di attività in concorrenza, dall’altro ha escluso che la produzione in giudizio di documentazione aziendale integri di per sé la sanzionata “divulgazione”.

La correttezza di tale seconda ratio decidendi e l’inidoneità dei motivi proposti a revocare in dubbio la conseguente decisione è di per sé idonea a determinare il rigetto del ricorso.

3.2. Occorre premettere che questa Corte ha tracciato una distinzione tra l’attività di produzione in giudizio dei documenti aziendali riservati al fine di esercitare la difesa e l’attività di impossessamento dei documenti aziendali (eventualmente prodromica alla successiva produzione dei documenti), da valutarsi caso per caso.

Sin dal 2002 (sentenza n. 6420) si è infatti chiarito che “il lavoratore che produca, in una controversia di lavoro intentata nei confronti del datore di lavoro, copia di atti aziendali, e riguardino direttamente la sua posizione lavorativa, non viene meno ai doveri di fedeltà, di cui all’art. 2105 c.c., tenuto conto che l’applicazione corretta della normativa processuale in materia è idonea a impedire una vera e propria divulgazione della documentazione aziendale e che, in ogni caso, al diritto di difesa in giudizio deve riconoscersi prevalenza rispetto alle eventuali esigenze di segretezza dell’azienda” (conf. Cass n 22923 del 2004, Cass., n. 153 del 2007, n. 3038 del 2011, n. 12119 del 2012, n. 20163 del 2012, n. 25682 del 2014). Occorre quindi valutare la legittimità delle modalità di impossessamento dei documenti, modalità che potrebbero in astratto, con valutazione da effettuarsi però nel caso concreto, integrare la giusta causa di licenziamento per violazione dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c. Occorre, in definitiva, separare la questione della produzione dei documenti, con la prevalenza generale da attribuire al diritto di difesa e la connessa possibilità per il giudice di esaminare la documentazione prodotta dal lavoratore, da quella relativa alle modalità di acquisizione della documentazione; questione che dev’essere risolta tenendo presente la possibilità di ravvisare, nell’esercizio del diritto di difesa, una scriminante della condotta posta in essere dal lavoratore.

3.3. Tanto premesso, il motivo è inammissibile laddove sottopone a critica la ricostruzione fattuale operata dalla Corte territoriale in merito alle modalità con le quali il lavoratore è entrato in possesso della documentazione poi prodotta nella causa di lavoro per il riconoscimento di mansioni superiori. In tale ricostruzione, riassunta nello storico di lite, il giudice di merito ha compiutamente valorizzato le emergenze probatorie, tra cui le deposizioni testimoniali, ed ha escluso che Io Xxxxxx avesse fatto ricorso a modalità in sé riprovevoli, abusive o truffaldine e che la trasmissione di corrispondenza dalla casella di posta aziendale a quella personale fosse impedita da direttive o prassi aziendali. Quello che i motivi sotto tale profilo richiedono a questa Corte è quindi di riesaminare tutte le risultanze richiamate, cercando in esse i contenuti che potrebbero essere rilevanti nel senso patrocinato, con una nuova completa valutazione delle risultanze di causa, inammissibile in questa sede, considerato che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi dando così prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (così tra le tante Cass. n. 22065 del 2014, Cass. n. 27197 del 2011).

3.4. Esclusa l’ illegittimità delle modalità dell’impossessamento della documentazione, la Corte si è attenuta ai principi affermati nella materia in esame da questa Corte, sopra illustrati, correttamente escludendo che la produzione in giudizio dei documenti ne realizzasse la divulgazione contrattualmente sanzionata, il che rendeva infondato l’addebito posto a fondamento del recesso.

4. La conferma della sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto che il licenziamento non fosse sorretto da giusta causa assorbe l’esame degli ulteriori motivi che attingono la sentenza laddove ne ha ritenuto anche l’inefficacia, che restano privi di autonoma rilevanza, considerato che tale vizio sopravvenuto non ha determinato conseguenze ulteriori rispetto all’applicazione della tutela reale già conseguenza del vizio originario.

5. In definitiva, il ricorso dev’essere respinto, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

In considerazione della data di notifica del ricorso, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo dell’art. 13, comma lquater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dal comma 17 dell’art. 1 della Legge 24 dicembre 2012, n. 228, ai fini del raddoppio del contributo unificato per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in C 4.000,00 per compensi professionali, oltre ad C 100,00 per esborsi, rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’ art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 24.2.2016

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