Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – applicazione agli studi professionali dell’art. 5, comma 5, D.L. n. 148/1993 (conv. da L. n. 236/1993).
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha presentato istanza di interpello al fine di conoscere il parere di questa Direzione generale in merito alla corretta interpretazione della disposizione normativa di cui all’art. 5, comma 5, D.L. n. 148/1993 (conv. da L. n. 236/1993), con particolare riferimento alla possibilità di ricorrere ai contratti di solidarietà di tipo “B” da parte di studi professionali.
Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale degli Ammortizzatori Sociali e Incentivi all’Occupazione, si rappresenta quanto segue.
Al fine di fornire una soluzione al quesito avanzato è opportuno esaminare, preliminarmente, la disciplina normativa afferente ai contratti di solidarietà, di cui all’art. 5, comma 5, L. n. 236/1993 la quale dispone che “alle imprese (…) che, al fine di evitare o ridurre le eccedenze di personale nel corso della procedura di cui all’art. 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, stipulano contratti di solidarietà, viene corrisposto per un massimo di due anni, un contributo pari alla metà del monte retributivo da esse non dovuto a seguito della riduzione di orario”
In particolare, la legge prevede che i contratti di solidarietà di tipo “B” si possono applicare alle imprese che non rientrano nel regime di cassa integrazione straordinaria (ex art. 5, commi 5 e 8, L. n. 236/93) ovvero imprese artigiane, imprese commerciali/settore terziario, aziende appaltatrici di servizi di mense e di servizi di pulizia (ex art. 2, comma 1, D.M. 20 agosto 2002, n. 31445) e stabilisce un’integrazione salariale in misura pari al 25% della retribuzione corrisposta al lavoratore erogata dall’INPS, ed il restante 25% a carico dell’azienda.
Da una prima lettura dell’articolato normativo sopra richiamato, emerge che i datori di lavoro qualificati come studi professionali non sembrano rientrare nelle categorie di imprese destinatarie delle disposizioni concernenti la fruizione dei contratti di solidarietà di tipo “B”.
Al riguardo appare, tuttavia, opportuno richiamare l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee del 16 ottobre 2003 (causa C/32/02) con riferimento alla direttiva UE del Consiglio 98/59/CE, in ordine al diverso significato che la qualifica di “imprenditore” riveste nel nostro ordinamento, rispetto alla più ampia nozione comunitaria di “datore di lavoro”.
La giurisprudenza comunitaria ravvisa, infatti, la necessità di “incentrarsi su una nozione intesa in senso ampio di datore di lavoro (…), di superare lo stretto perimetro della nozione di imprenditore”, e di “intendere con quest’ultima qualunque soggetto che svolge attività economica e che sia attivo su un determinato mercato”.
In virtù di tale orientamento, peraltro in linea con quanto già espresso da questa Direzione generale in una recente risposta ad interpello in materia di iscrizione nelle liste di mobilità di lavoratori subordinati licenziati da studi professionali (cfr. interpello n. 10/2011), si può ritenere che anche gli studi professionali possano rientrare nell’ambito applicativo delle disposizioni di cui all’art. 5, comma 5, L. n. 236/1993.
Per le considerazioni sin qui svolte ed alla luce dell’interpretazione estensiva in ordine alla nozione di “imprenditore” data dalla giurisprudenza comunitaria, è possibile affermare che, sebbene la lettera del dettato normativo menzioni le sole “imprese” quali soggetti legittimati a fruire dei contratti di solidarietà di tipo “B” di cui all’art. 5, comma 5, L. n. 236/1993, gli stessi possono ritenersi applicabili anche ai datori di lavoro qualificati come studi professionali, ricorrendone i requisiti di legge.
Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – mobilità studi professionali individuali.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro e la Confprofessioni hanno avanzato richiesta di interpello per conoscere il parere di questa Direzione generale in merito alla possibilità di iscrivere nelle liste di mobilità i lavoratori subordinati licenziati da studi professionali individuali.
Al riguardo acquisito il parere della Direzione generale degli Ammortizzatori Sociali e I.O., si rappresenta quanto segue.
In via preliminare, occorre esaminare la disciplina concernente la procedura di mobilità di cui agli artt. 4 e ss. della L. n. 223/1991, al fine di evidenziare i presupposti necessari per l’iscrizione dei lavoratori sospesi o licenziati nella lista appositamente compilata, analizzare i requisiti idonei alla fruizione della relativa indennità, nonché delinearne i limiti di applicabilità in relazione al caso di specie.
Risulta, altresì, opportuno, ai fini della soluzione del quesito proposto, richiamare l’attenzione sulle disposizioni di cui all’art. 4 L. n. 236/1993. Tale norma stabilisce infatti che “(…) nella lista di cui all’art. 6 comma primo della legge 23 luglio 1991 n. 223, possono essere iscritti i lavoratori licenziati da imprese, anche artigiane o cooperative di produzione e lavoro, che occupano anche meno di quindici dipendenti per giustificato motivo oggettivo connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro (…) possono essere altresì iscritti lavoratori licenziati per riduzione di personale che non fruiscano dell’indennità di cui all’art. 7 della legge 23 luglio 1991 n. 223. L’iscrizione che non da titolo al trattamento di cui all’art. 7 della legge 23 luglio 1991 n. 223 deve essere richiesta entro sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento ovvero dalla comunicazione dei motivi ove non contestuale”.
Il suddetto disposto normativo, in altri termini, concerne la procedura di mobilità destinata alle aziende con base occupazionale al di sotto dei quindici dipendenti per le quali non sussistono invece i requisiti tassativamente richiesti dagli artt. 4 e ss. della L. n. 223/1991 sopra citati.
La norma stabilisce, peraltro, che l’iscrizione nella lista innanzi menzionata non costituisce titolo ai fini della fruizione dell’indennità di mobilità.
Tale indennità, quale misura di sostegno del reddito riconosciuta ai lavoratori licenziati a seguito di una procedura di licenziamento collettivo riguarda, ai sensi del combinato disposto degli art. 7 e ss. L. n. 223/1991, imprese non edili e non esercenti attività stagionali, con più di 15 dipendenti, ovvero imprese commerciali rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale.
Alla luce del dettato normativo sopra richiamato va dunque osservato che i datori di lavoro qualificabili come studi professionali non appaiono rientrare nelle categorie di imprese destinatarie della procedura di mobilità di cui alle norme della L. n. 223/1991, né sembra possano essere ricompresi, in virtù di una interpretazione stricti iuris, nell’ambito del disposto di cui all’art. 4 comma 1, L. n. 236/1993.
Si ritiene, tuttavia, utile leggere la norma da ultimo citata nel senso attribuitole a seguito dell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee in data 16 ottobre 2003 (causa C/32/02) con riferimento alla direttiva UE del Consiglio 98/59/CE, in merito allo scostamento esistente tra la nozione di diritto interno di imprenditore rispetto alla nozione comunitaria di datore di lavoro. La giurisprudenza comunitaria afferma infatti che occorre incentrarsi su una nozione intesa in senso ampio di datore di lavoro, superando in tal modo le stretto perimetro della nozione di imprenditore ed intendendo con quest’ultima qualunque soggetto che svolge attività economica e che sia attivo su un determinato mercato.
In linea con tale orientamento ermeneutico, si ritiene che anche i datori di lavoro qualificabili come studi professionali possano essere sussunti nell’ambito della previsione di cui all’art. 4 comma 1 innanzi indicato, sebbene la norma si riferisca espressamente alle sole “imprese” e di conseguenza che i lavoratori da questi dipendenti, licenziati per riduzione di personale, abbiano diritto ad iscriversi nelle liste di mobilità c.d. non indennizzata.
Riguardo, invece, all’ulteriore questione concernente la possibile fruizione anche per i lavoratori di cui sopra delle risorse finanziarie destinate all’erogazione del c.d. ammortizzatori sociali in deroga, ai fini della percezione del beneficio della indennità di mobilità in deroga, si forniscono le seguenti precisazioni.
Premesso che la L. n. 191/2009 (Finanziaria 2010) introduce disposizioni che, con effetto dal 1° gennaio, da un lato rafforzano gli strumenti di sostegno del reddito già esistenti e dall’altro favoriscono il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori disoccupati, la disciplina degli ammortizzatori sociali in deroga trova riscontro normativo nell’art. 2, comma 36, della L. n. 203/2008, nell’art. 19 L. n. 2 /2009, di conversione del D.L. n. 185/2008 e nell’art. 7 ter della L. n. 33/2009.
Il Legislatore con tali provvedimenti ha inteso estendere le misure di sostegno del reddito a categorie di lavoratori normalmente escluse dal campo di applicazione a causa del settore di riferimento, della dimensione aziendale o del tipo di contratto di lavoro, trattandosi di datori di lavoro, anche non imprenditori, non aventi diritto alla CIGS, ovvero di aziende che pur avendo diritto alla CIGS o alla mobilità ne hanno già fruito superando i limiti di durata.
Tali trattamenti possono essere concessi con riferimento a tutte le tipologie di lavoro subordinato, con anzianità lavorativa presso lo stesso datore di lavoro di almeno novanta giorni, compresi i contratti di apprendistato e di somministrazione. Ciò si evince chiaramente dalla disposizione di cui all’art. 19, comma 8, D.L. n. 185/2008 in base al quale “le risorse finanziarie destinate agli ammortizzatori sociali in deroga alla vigente normativa, anche integrate ai sensi del procedimento di cui all’articolo 18, possono essere utilizzate con riferimento ai lavoratori subordinati a tempo indeterminato e determinato, agli apprendisti e ai lavoratori somministrati”. Lo stesso articolo, al comma 10 bis, ha poi stabilito che “ai lavoratori non destinatari dei trattamenti di cui all’articolo 7 della legge 23 luglio 1991 n. 223 in caso di licenziamento può essere erogato un trattamento di ammontare equivalente all’indennità di mobilità nell’ambito delle risorse finanziarie destinate per l’anno 2009 agli ammortizzatori sociali in deroga alla vigente normativa (…)”.
In relazione a tale previsione il Legislatore, con il comma 6 dell’art. 7 ter, ha inoltre precisato che, al fine di garantire criteri omogenei di accesso a tutte le forme di integrazione del reddito, anche ai lavoratori destinatari della CIGS e della mobilità in deroga si applicano le norme relative ai requisiti soggettivi di accesso stabiliti per le medesime prestazioni concesse in via ordinaria.
Pertanto, come anche puntualizzato dall’INPS con circolare n. 75/2009, per beneficiare dell’erogazione dell’indennità di mobilità in deroga è necessaria, ex art. 16, comma 1, L. n. 223/1991, la ricorrenza di un’anzianità aziendale di almeno dodici mesi di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi di sospensione dal lavoro derivanti da ferie festività ed infortuni, nell’ambito di rapporti non a termine, individuando quale parametro di riferimento per l’erogazione dell’indennità la data del licenziamento. Per la fruizione della suddetta indennità si ricorda inoltre che, ai sensi dell’art. 19, comma 10, del D.L. n. 185, è necessaria da parte del lavoratore interessato una “dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale”.
Tutto ciò premesso, nel prendere atto della scelta del Legislatore di non porre ulteriori limiti alla concessione degli ammortizzatori in questione, si ritiene dunque applicabile la disciplina della mobilità in deroga, ai fini dell’erogazione della relativa indennità, anche ai lavoratori subordinati licenziati per motivi di riduzione di personale da parte di studi professionali individuali, purché ricorrano tutti i presupposti di carattere generale sopra evidenziati, a nulla rilevando la forma giuridica individuale o associata del soggetto datoriale.
Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – applicazione agli studi professionali dell’incentivo giovani genitori – D.M. Presidenza del consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù 19/11/2010.
Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro ha avanzato istanza di interpello al fine di conoscere il parere di questa Direzione generale in ordine alla concessione dell’incentivo c.d. giovani genitori, previsto dall’art. 2, comma 1, D.M. 19 novembre 2010 anche in favore degli studi professionali.
Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale degli Ammortizzatori Sociali e I.O., e dell’Ufficio legislativo, si rappresenta quanto segue.
Ai fini della soluzione del quesito, occorre muovere dalla lettura dell’art. 2 del D.M. citato, ai sensi del quale nell’ambito delle risorse finanziarie individuate dall’art. 1, comma 73, L. n. 247/2007, come modificato dall’art. 2, comma 50, L. n. 191/2009, è riconosciuto un incentivo alle imprese private e alle società cooperative che assumano giovani genitori con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche part-time, del valore massimo di 5.000 euro per ogni assunzione e fino al limite di cinque per singola impresa o società cooperativa.
Le suddette assunzioni devono riguardare, nello specifico, soggetti di età non superiore a 35 anni, genitori di figli minori legittimi, naturali o adottivi, ovvero affidatari di minori, rispetto ai quali risulti in corso o cessato un rapporto di lavoro a tempo determinato, in somministrazione, intermittente, ripartito, di inserimento, accessorio ovvero una collaborazione a progetto, nonché coordinata e continuativa; ciò al fine di assicurare una occupazione stabile ai suddetti soggetti, indipendentemente dal settore economico/produttivo d’impiego.
Per quanto concerne l’individuazione dei datori di lavoro beneficiari dell’incentivo in esame, tenuto conto della finalità menzionata, nonché dei vincoli comunitari esistenti in materia di definizione di “impresa”, si ritiene di aderire ad una interpretazione estensiva della locuzione “imprese private”, di cui all’art. 2 citato, superando lo stretto perimetro che la qualifica di imprenditore riveste nel nostro ordinamento.
In proposito, anche il Consiglio di Stato appare attestarsi sulla medesima posizione, riconoscendo come la definizione di “imprenditore” di derivazione comunitaria differisca da quella desumibile dal codice civile ed evidenziando, con riferimento a quest’ultima, “i profili relativi alla eventuale discriminazione operata nei confronti della categoria dei liberi professionisti e del personale che lavora presso di loro” (Consiglio di Stato, ordinanza dell’11/03/2015, n. 01108/2015 in tema di trattamento di CIG in deroga; sent. Sez. VI, 16 giugno 2009 n. 3897 in materia di appalti pubblici).
In risposta al quesito avanzato, si ritiene possibile utilizzare una nozione di imprenditore/datore di lavoro intesa in senso ampio, ovvero connessa a “qualunque soggetto che svolge attività economica e che sia attivo in un determinato mercato”, a prescindere dalla forma giuridica assunta, ricomprendendo conseguentemente anche gli studi professionali tra i possibili beneficiari dell’incentivo giovani genitori (cfr. sent. Corte di Giustizia del 16 ottobre 2003 – causa C/32/02; Direttiva Ue 98/59/CE; risposte ad interpello ML nn. 10 e 33/2011).
Consiglio di Stato, ordinanza dell’11/03/2015, n. 01108/2015 in tema di trattamento di CIG in deroga
- 01108/2015 REG.PROV.CAU.; N. 00622/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 622 del 2015, proposto da:
Confederazione Italiana Libere Professioni – Confprofessioni, rappresentato e difeso dagli avvocati Tommaso Di Nitto e Claudio Cataldi, con domicilio eletto presso Tommaso Di Nitto, in Roma, via Gramsci, n.24;
contro
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n.12;
per la riforma
dell’ ordinanza cautelare n.6365 del T.A.R. LAZIO – ROMA (Sezione Terza Bis) del 12 dicembre 2014, resa tra le parti;
Visto l’art. 62 cod. proc. amm;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e di Ministero dell’Economia e delle Finanze;
Vista la impugnata ordinanza cautelare del Tribunale amministrativo regionale di reiezione della domanda cautelare presentata dalla parte ricorrente in primo grado;
Viste le memorie difensive;
Relatore, nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2015, il Cons. Carlo Mosca e uditi per le parti l’avvocato Di Nitto;
Considerato che, ad una prima sommaria delibazione propria della fase cautelare, i motivi addotti della parte appellante sembrerebbero essere sostenuti da argomentazioni convincenti, soprattutto con riguardo alle disposizioni contenute nel decreto interministeriale del 1 agosto 2014, nella parte in cui esclude gli studi professionali del trattamento di CIG in deroga, per i profili relativi alla eventuale discriminazione operata nei confronti della categoria dei liberi professionisti e del personale che lavora presso di loro, tenuto conto dei vincoli comunitari in materia di definizione di impresa;
Ritenuto che, quanto al periculum in mora, sussiste il pregiudizio di cui all’articolo 55 del codice del processo amministrativo, dal momento che l’esecuzione dell’ordinanza impugnata comporterebbe l’effettiva e grave compromissione della attività economica del comparto in questione e dei livelli occupazionali da questi assicurati;
Ritenuto che debba conseguentemente essere accolto l’appello cautelare per la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 55, comma 10 del c.p.a.;
Ritenuto che sussistono le condizioni per compensare tra le parti le spese della presente fase cautelare
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l’appello cautelare (ricorso n. 622 del 2015) e, per l’effetto, sospende l’esecuzione dell’ordinanza impugnata.
Ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia trasmessa al TAR Lazio per la sollecita fissazione dell’udienza di merito ai sensi dell’articolo 55, comma 10 del c.p.a..
Compensa tra le parti le spese della presente fase di giudizio.
La presente ordinanza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 10 marzo 2015, con l’intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Carlo Mosca, Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/03/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Direzione Generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali
Divisione V Via Fornovo, 8 – 00192 Roma Tel. 06.4683.4068
pec: dgrapportilavoro.div5@pec.lavoro.gov.it e-mail: dgrapportiavorodiv5@lavoro.gov.it www.lavoro.gov.it
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