Straining Sentenza n. 3291/2016 la Corte di Cassazione, stress lavorativo subito da una dipendente a seguito dell’ingiustificato trasferimento in un altro reparto

Gentili colleghi,

ritenendo di fare cosa gradita nei confronti degli associati e non, lo Staff ILA, segnala la  Sentenza n. 3291/2016 la Corte di Cassazione “Straining<” stress lavorativo subito da una dipendente a seguito dell’ingiustificato trasferimento in un altro reparto.

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Straining Sentenza n. 3291/2016 la Corte di Cassazione<

Dal Sito Governo Locale<: Con la sentenza n. 3291/2016 la Corte di Cassazione< illustra in modo dettagliato il fenomeno dello “straining”. La questione che viene affrontata vede la condanna al risarcimento del danno patrimoniale in relazione allo stress lavorativo subito da una dipendente a seguito dell’ingiustificato trasferimento in un altro reparto..

L’aspetto di maggiore interesse della decisione riguarda la considerazione che “l’esclusione del mobbing e del demansionamento non equivalgono ad esenzione di responsabilità, in considerazione di un danno biologico in relazione a un disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso poi cronicizzato, a causa della situazione disagevole nella quale la dipendente è stata mandata ad operare. Tale situazione viene definita, nel testo della sentenza, come “straining”.

Spiega la Corte Suprema che ciò riguarda una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato, in cui la vittima subisce azioni ostili limitate nel numero e/o distanziate nel tempo (quindi non rientranti nei parametri del mobbing) ma tale da provocarle una modificazione in negativo, costante e permanente, della condizione lavorativa.

Al riguardo, lo “stress forzato” può essere provocato appositamente ai danni della vittima con condotte caratterizzate da intenzionalità o discriminazione e può anche derivare dalla costrizione a lavorare in un ambiente di lavoro disagevole, per incuria e disinteresse nei confronti del benessere lavorativo.

Lo straining può perfezionarsi anche in un’unica azione ostile purché essa provochi conseguenze durature e costanti a livello lavorativo, tali per cui la vittima percepisca di essere in una continua posizione di inferiorità rispetto ai suoi aggressori. Questo fenomeno consiste in una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie, come può accadere, ad esempio, in caso di demansionamento, dequalificazione, isolamento o privazione degli strumenti di lavoro. In tutte le suddette  ipotesi: se la condotta  nociva si realizza con una azione unica ed isolata o comunque in più azioni ma prive di continuità si è in presenza dello straining, che è pur sempre un comportamento che può produrre una situazione stressante, la quale a sua volta può anche causare gravi disturbi psico-somatici o anche psico-fisici o pscichici.

Al riguardo va considerato che, grazie al carattere di “norma di chiusura” del sistema antinfortunistico pacificamente riconosciuta alla suddetta disposizione codicistica nonché all’ammissibilità della interpretazione estensiva della predetta norma alla stregua sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute (art. 32 Cost.), sia dei principi di correttezza e buona  fede (artt.  1175 e 1375 cod. civ.) ai quali deve ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto di lavoro, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha inteso l’obbligo datoriale di  “tutelare  l’integrità  fisica  e  la personalità  morale  dei  prestatori  di lavoro”, nel senso di includere anche l’obbligo della adozione di ogni misura “atipica” diretta alla tutela della salute e sicurezza  dei  lavoratori, come, ad esempio, le misure di sicurezza da adottare in concreto nella organizzazione tecnico-operativa del lavoro allo scopo di prevenire ogni possibile evento dannoso, ivi comprese le aggressioni  conseguenti  all’attività  criminosa  di terzi  (Cass. 22 marzo  2002, n. 4129).

Questo implica, reciprocamente, l’obbligo del datore di lavoro di astenersi da iniziative, scelte o comportamenti che possano ledere, già di per sé, la personalità morale del lavoratore, come l’adozione di condizioni di lavoro stressogene o non rispettose dei principi ergonomici, oltre ovviamente a comportamenti più gravi come mobbing, straining, burn out, molestie, stalking e così via, alcuni anche di possibile rilevanza penale (sulla scorta di quanto affermato anche dalla Corte costituzionale; vedi per tutte: Corte cost. sentenza n. 359 del 2003 e Cass. 5 novembre 2012, n. 18927).

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