Sentenza n. 22323/2016 del 03/11/2015 della Corte di Cassazione con la quale si ritiene discriminatorio con effetti ritorsivi il licenziamento del lavoratore disposto per giustificato motivo oggettivo ritenuto insussistente, allorquando le vere ragioni

Gentili colleghi,

ritenendo di fare cosa gradita nei confronti degli associati e non, lo Staff ILA, segnala la Sentenza n. 22323/2016 del 03/11/2015 della Corte di Cassazione< con la quale si ritiene discriminatorio con effetti ritorsivi il licenziamento del lavoratore disposto per giustificato motivo oggettivo ritenuto insussistente, allorquando le vere ragioni vanno ricercate in un precedente demansionamento rispetto al quale il lavoratore aveva fatto ricorso al giudice del lavoro.

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Cassazione: licenziamento dopo demansionamento del lavoratore con ricorso al giudice del lavoro<

Con sentenza n. 22323/2016<, la Corte di Cassazione ha ritenuto discriminatorio con effetti ritorsivi il licenziamento del lavoratore disposto per giustificato motivo oggettivo ritenuto insussistente, allorquando le vere ragioni vanno ricercate in un precedente demansionamento rispetto al quale il lavoratore aveva fatto ricorso al giudice del lavoro.

La Corte ha argomentato la decisione affermando che il licenziamento motivato con una supposta ristrutturazione era avvenuto a 21 giorni dalla presentazione del ricorso per dequalificazione professionale.

Sentenza n. 22323/2016 del 03/11/2015 della Corte di Cassazione< è discriminatorio con effetti ritorsivi il licenziamento del lavoratore disposto per giustificato motivo oggettivo ritenuto insussistente, allorquando le vere ragioni vanno ricercate in un precedente demansionamento rispetto al quale il lavoratore aveva fatto ricorso al giudice del lavoro

Civile Sent. Sez. L Num. 22323 Anno 2016 Presidente: NOBILE VITTORIO Relatore: VENUTI PIETRO Data pubblicazione: 03/11/2016<

SENTENZA<

sul ricorso 10759-2014 proposto da:

CENTRO SERVIZI AL VOLONTARIATO “DEI DUE MARI” di Reggio Calabria P.I. 92037100804, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PINCIANA 25, presso lo studio dell’avvocato CRISTIANO CHIOFALO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE CHIOFALO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

IERO GIUSEPPE C.F. RIEGPP70M12H224J, elettivamente domiciliato in ROMA, CIRCONVALLAZIONE TRIONFALE N. 154, presso lo studio dell’avvocato ERMINIA MARIA DEL MEDICO, rappresentato e difeso dall’avvocato VITTORIO MILARDI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 154/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 04/02/2013 R.G.N. 1038/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/09/2016 dal Consigliere Dott. PIETRO VENUTI;

udito l’Avvocato CHIOFALO GIUSEPPE;

udito l’Avvocato DEL MEDICO ERMINIA MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso.

R.G. n. 10759/14 Ud. 15 sett. 2016

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Reggio Calabria ex art. 700 cod. proc. civ., depositato in data 25 novembre 2009, Giuseppe Iero, dipendente del Centro Servizi al Volontariato dei “Due Mari” di Reggio Calabria esponeva che, nonostante la professionalità manifestata nel corso del rapporto, i vertici del Centro avevano posto in essere nei suoi confronti, a far data dal mese di ottobre 2008, una vera e propria attività persecutoria.

In particolare, con nota del 31 ottobre 2008, il Presidente della struttura, pur mantenendo in capo allo Iero la qualifica di quadro, lo aveva demansionato, spogliandolo di fatto delle funzioni di direttore del Centro, con un’attività preordinata e dolosa e con mortificazione della sua personalità.

Chiedeva pertanto il ricorrente dichiararsi nullo il predetto provvedimento in quanto adottato per motivi illeciti e la reintegrazione nel suo precedente posto di lavoro.

Il giudice adito, con ordinanza depositata in data 8 gennaio 2010, accoglieva il ricorso, ordinando al datore di lavoro di assegnare nuovamente al ricorrente la qualifica e le mansioni di direttore del Centro ovvero di assegnargli diverse e concrete mansioni confacenti al profilo e alla professionalità raggiunta di quadro direttivo.

Con nota in data 29 gennaio 2010 il suddetto dipendente veniva licenziato “per ragioni inerenti l’organizzazione del lavoro ed il regolare funzionamento di essa”, con la precisazione che l’organico della struttura prevedeva un’unica figura di quadro che si identificava con il direttore del Centro, il quale era stato nominato con provvedimento del Consiglio Direttivo del 30 ottobre 2008.

Con ricorso al Tribunale di Reggio Calabria Giuseppe Iero chiedeva dichiararsi nullo il licenziamento per illiceità dei motivi, essendo il provvedimento espulsivo fondato su ragioni ritorsive.

Il giudice adito, con sentenza in data 8 aprile 2011, escludendo il carattere ritorsivo del recesso, dichiarava illegittimo il licenziamento perché privo di giustificato motivo oggettivo e condannava il datore di lavoro a riassumere il ricorrente entro tre giorni o, in alternativa, a risarcirgli il danno versandogli una ìndennità pari a sei mensilità di retribuzione.

Proponeva impugnazione il dipendente, insistendo nella richiesta di declaratoria di nullità del licenziamento perché ritorsivo e chiedendo l’applicazione della tutela reale.

Con sentenza depositata il 4 febbraio 2014 la Corte d’appello di Reggio Calabria accoglieva il gravame e, dichiarato nullo il licenziamento in quanto ritorsivo, condannava il Centro appellato a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro, con conseguente corresponsione delle retribuzioni globali di fatto dalla data del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegra.

Contro questa sentenza ricorre per cassazione il Centro anzidetto sulla base di un solo motivo. Resiste il dipendente con controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo il Centro ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1324, 1345 e 1418, comma 2, cod. civ. nonché contraddittoria ed illogica motivazione su un punto decisivo della controversia.

Deduce che la sentenza impugnata è errata per avere applicato una semplice equazione matematica: poiché il giudice di primo grado ha dichiarato illegittimo il licenziamento e sul punto non è stato proposto appello incidentale da parte del datore di lavoro, tanto bastava per ritenere che il provvedimento espulsivo fosse sorretto da ragioni di carattere ritorsivo.

Ma, aggiunge il ricorrente, a parte il fatto che un intento vendicativo non è ipotizzabile quando, come nella specie, il provvedimento espulsivo è stato disposto a seguito di una delibera collegiale adottata da quindici persone, affinchè ricorra l’ipotesi del licenziamento ritorsivo occorre che tale motivo sia stato l’unico a determinare il recesso e che la ragione discriminatoria o ritorsiva o l’intento di rappresaglia vengano concretamente dimostrati dal dipendente, anche con presunzioni.

Nella fattispecie in esame la Corte di merito non si è soffermata a valutare le effettive motivazioni che hanno sorretto il licenziamento, ma ha ritenuto, con motivazione abnorme, che l’accertata illegittimità del recesso consentisse, in via presuntiva, “di individuare l’intento di rappresaglia celato dietro motivazioni fittizie”, senza compiere un’analisi approfondita degli aspetti rilevanti di tutta la vicenda. Tale analisi, prosegue il ricorrente, non è preclusa in questa sede, trattandosi di sindacato sulla ripartizione dell’onere probatorio e sull’interpretazione di norme c.d. elastiche.

2. Il ricorso non è fondato.

Il divieto di licenziamento discriminatorio, sancito dall’art. 4 della legge n. 604 del 1966, dall’art. 15 St. lav. e dall’art. 3 della legge n. 108 del 1990, è suscettibile – in base all’art. 3 Cost. e sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di diritto antidiscriminatorio e antivessatorio, in particolare, nei rapporti di lavoro, a partire dalla introduzione dell’art. 13 nel Trattato CE, da parte del Trattato di Amsterdam del 1997 – di interpretazione estensiva, sicché l’area dei singoli motivi vietati comprende anche il licenziamento per ritorsione o rappresaglia, ossia dell’ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore quale unica ragione del provvedimento espulsivo, essendo necessario, in tali casi, dimostrare, anche per presunzioni, che il recesso sia stato motivato esclusivamente dall’intento ritorsivo (Cass. 3 dicembre 2015 n. 24648; Cass. 8 agosto 2011 n. 17087; Cass. 18 marzo 2011 n. 6282).

Nel caso di ricorso alla prova presuntiva resta, peraltro, riservata all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito la sussistenza sia dei presupposti per il ricorso a tale mezzo di prova, sia dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge, con valutazione sindacabile in sede di legittimità solo quanto solo quanto alla congruenza della relativa motivazione, con la precisazione che, per aversi una presunzione giuridicamente valida, non occorre che tra il fatto noto e il fatto ignoto sussista una relazione avente carattere di assoluta ed esclusiva necessità, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità.

Nella specie la Corte di merito ha ritenuto ritorsivo il licenziamento non solo perché il giudice di primo grado ha escluso la sussistenza del giustificato motivo di licenziamento, ma anche perché, come accertato dal Tribunale con sentenza passata in giudicato, era stata dedotta a giustificazione del licenziamento una circostanza non vera, e cioè che all’interno del Centro vi fosse un’unica figura di quadro direttivo, costituita dal direttore, circostanza questa non vera, atteso che l’odierno ricorrente, con lettera del 31 ottobre 2008, facente seguito alla delibera del Consiglio direttivo del giorno precedente, venne invitato a prestare servizio all’interno della struttura mantenendo la qualifica di quadro direttivo e la medesima posizione economica.

Ed ha aggiunto che il provvedimento di recesso, una volta escluso il motivo formalmente comunicato„ non poteva che essere correlato al contenzioso instaurato dal dipendente per il mantenimento della qualifica di quadro, affermazione questa condivisibile tenuto conto che l’ordinanza cautelare, con la quale è stato ordinato al Centro di assegnare allo Iero la qualifica e le mansioni di direttore della struttura ovvero diverse mansioni confacenti al profilo e alla professionalità raggiunta di quadro direttivo, è stata emessa in data 8 gennaio 2010, mentre il licenziamento è stato disposto a distanza di circa venti giorni (29 gennaio 2010).

Trattasi di motivazione adeguata, coerente e priva di vizi logici e giuridici, che peraltro il ricorrente ha censurato inammissibilmente sotto il profilo del previgente testo dell’art. 360, primo comma ;n. 5 cod. proc. civ., non applicabile ratione temporis (la sentenza impugnata è stata depositata il 4 febbraio 2014), essendo ora consentito il ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, e cioè, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 8053/14), per l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Di conseguenza, sempre secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, elementi tutti che il ricorrente ha omesso di precisare.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Il ricorrente è tenuto al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso (art. 13 D.P.R. n. 115 del 2002).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi all’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma in data 15 settembre 2016.

IL PRESIDENTE

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