INTERPELLO N. 8/2016 del 12.02.2016 (art. 9 D. Lgs. 124/2004) Contratti di prossimità

INTERPELLO N. 8/2016 del 12.02.2016 Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – art. 8, D.L. n. 138/2011 – contratti di prossimità.

Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – art. 8, D.L. n. 138/2011 – contratti di prossimità.

Prot. 37/0002854

L’Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro ha avanzato istanza di interpello al fine di conoscere il parere di questa Direzione generale in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 8, D.L. n. 138/2011 (conv. da L. n. 148/2011), concernente il sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità.

In particolare, l’istante chiede se i livelli retributivi fissati dai contratti di prossimità possano costituire base imponibile anche in deroga ai minimali contributivi sanciti dall’art. 1, D.L. n. 338/1989.

L’interpellante domanda, altresì, se il rispetto del contratto di prossimità (che deroga al CCNL) possa essere considerato quale condizione necessaria ai fini dell’accesso alle agevolazioni contributive in luogo del rispetto del contratto collettivo nazionale di lavoro.

Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro e delle Relazioni Industriali, dell’INPS nonché dell’Ufficio legislativo, si rappresenta quanto segue.

In via preliminare occorre muovere dalla lettura dell’art. 8 comma 1 in forza del quale “i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, (…) possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro”.

Le intese possono riguardare le materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione riferite agli aspetti elencati nel comma 2.

Nell’elenco in questione, oltre l’assenza di un espresso riferimento al trattamento retributivo minimo, rispetto al quale opera comunque un limite inderogabile di rilievo costituzionale dettato dell’art. 36, va evidenziato come l’art. 8 del D.L. n. 138/2011 non preveda, tra i possibili contenuti delle “specifiche intese” aziendali o territoriali, la determinazione dell’imponibile contributivo; senza contare che tali intese esplicano i propri effetti esclusivamente tra le parti e non possono quindi interessare gli Istituti previdenziali quali soggetti creditori della contribuzione.

Sulla materia si è espressa anche la Corte di Cassazione, affermando che “una retribuzione (…) imponibile non inferiore a quella minima (è) necessaria per l’assolvimento degli oneri contributivi e per la realizzazione delle finalità assicurative e previdenziali, (in quanto), se si dovesse prendere in considerazione una retribuzione imponibile inferiore, i contributi determinati in base ad essa risulterebbero tali da non poter in alcun modo soddisfare le suddette esigenze” (Cass. Sez. Un. civ. n. 11199/2002).

In merito alla seconda problematica occorre richiamare l’art. 1, comma 1175, della L. n. 296/2006 che richiede, ai fini della fruizione dei benefici normativi e contributivi, non solo il possesso del DURC e l’osservanza “degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali (…) comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”, ma anche il rispetto degli “altri obblighi di legge”.

Ciò sta a significare che, qualora non si rispettino gli obblighi relativi alla determinazione della retribuzione imponibile indicati dalle L. n. 338/1989 e n. 549/1995, rispetto ai quali un contratto di prossimità non può validamente derogare, sarà evidentemente negata anche la fruizione dei benefici normativi e contributivi.

CASSAZIONE CIVILE, SEZIONI UNITE, 29 LUGLIO 2002, N. 11199

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro – tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto stesso, rappresentato e difeso dagli avvocati CORRERA FABRIZIO, PONTURO DOMENICO, FONZO FABIO, giusta delega in calce al ricorso;

ricorrente

CCCCCCCCCC GOMME S.R.L., in persona del legale rappresentante pro – tempore, FFFFFFFF GIOVANNA elettivamente domiciliate in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 36/A, presso lo studio dell’avvocato FABIO PISANI, rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO CALVO, giusta delega a margine del controricorso;

controricorrente

avverso la sentenza n. 3444/97 del Tribunale di CATANIA, depositata il 18/11/97;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/05/02 dal Consigliere Dott. Erminio RAVAGNANI;

udito l’Avvocato Fabrizio CORRERA;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Domenico Iannelli, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTO

Con ricorso al Pretore del lavoro di Catania, la signora Giovanna Fffffff, in proprio e quale rappresentante legale della s.r.l. Cccccccccc GOMME, proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione, notificata dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), con la quale era stato intimato il pagamento di sanzioni amministrative e spese per omesso versamento di contributi previdenziali nel periodo dal gennaio 1989 all’aprile 1992. La ricorrente deduceva al riguardo di aver regolarmente versato i contributi in relazione alla retribuzione contrattuale erogata ai dipendenti, ed assumeva di non essere tenuta a versare alcun contributo, come invece preteso dall’INPS, in relazione ad altri emolumenti previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro, quali l’indennità “una tantum” e la quattordicesima mensilità, contemplati nella parte normativa, ed il “terzo elemento”, previsto dal contratto integrativo provinciale. L’Istituto opponeva che il calcolo della contribuzione anche su tali emolumenti derivava dall’applicazione dell’art. 1 legge 7 dicembre 1989 n. 389, secondo cui i contributi vanno versati sulle retribuzioni stabilite da leggi, regolamenti e contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale. Il Pretore adito accoglieva l’opposizione ed annullava l’ordinanza ingiunzione. L’INPS interponeva gravarne, cui resisteva la controparte.

Il Tribunale di Catania rigettava l’appello, ritenendo che l’art. 1 legge n. 389 del 1989 abbia posto il principio secondo cui i contributi vanno versati sui minimali contemplati da leggi, regolamenti e contratti collettivi, ma, per questi ultimi, solo in quanto inclusi nella parte economica, e non anche in quella normativa, contenente la previsione di istituti, alla cui osservanza sono tenute soltanto le imprese all’uopo obbligate secondo le regole del diritto comune. Il legislatore, invero, avrebbe inteso riprodurre la stessa regola seguita dalla giurisprudenza lavoristica nell’adeguare la retribuzione ai sensi e nei limiti dell’art. 36 Cost., con riferimento, come parametro, alla retribuzione minima stabilita dai contratti collettivi, sia pure non applicabili né applicati dai datori di lavoro. Avverso questa sentenza l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un unico motivo di censura. La controparte ha presentato controricorso. II ricorso è stato assegnato dal Primo Presidente a queste Sezioni Unite per la composizione del contrasto giurisprudenziale rilevato dalla Sezione Lavoro in ordine alla individuazione della retribuzione assoggettabile alla contribuzione dovuta all’INPS.

DIRITTO

L’Istituto ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1 legge n. 389 del 1989, nonché vizio di motivazione, assume quanto segue. La disposizione normativa in questione avrebbe innovativamente stabilito che i contributi previdenziali debbano essere calcolati sulla retribuzione prevista dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, anche da parte dei datori di lavoro che non aderiscano neppure, di fatto, alla predetta contrattazione. La retribuzione parametro, dunque, dovrebbe comprendere tutti i contenuti economici contrattuali, poiché dovrebbe essere determinata in relazione all’ampio concetto di “imponibile contributivo” previsto dall’art. 12 legge n. 153 del 1969.

Tale portata espansiva ed innovativa della legge n. 389 citata sarebbe anche dimostrata: a) dall’intento del legislatore, posto in evidenza nei lavori preparatori della legge (in sede di conversione del DL n. 338 del 1989), di garantire un riferimento normativo equo e certo, idoneo ad impedire l’evasione contributiva, che sia vincolante anche per i datori di lavoro non aderenti ai contratti collettivi, seppure ai limitati fini del calcolo dei contributi; b) dall’intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 342 del 1992), che – investita della questione di legittimità dell’art. 28 DPR n. 488 del 1968 (che faceva riferimento, per la determinazione della base imponibile dei contributi agricoli unificati, alle retribuzioni risultanti dai contratti collettivi) in relazione all’art. 39 Cost. – ha verificato la costituzionalità della norma impugnata, “in combinato disposto con l’art. 1, primo comma, DL n. 338 del 1989, convertito in legge n. 389 del 1989“, sul presupposto che “il sistema seguito consente di effettuare un bilanciamento di interessi assicurato dalla utilizzazione di contratti collettivi come modelli generali o parametri validi per la generalità dei datori di lavoro, senza peraltro conferire ai contratti collettivi medesimi efficacia “erga omnes” per quanto attiene al rapporto di lavoro, distinto da quello previdenziale; c) dal chiarimento che sarebbe fornito dell’art. 2, comma venticinquesimo, legge n. 549 del 1995, che, nel riferirsi all’art. 1 in questione, ha rilevato che la retribuzione da prendere a parametro ai fini contributivi è quella stabilita nei contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sia dei lavoratori che dei datori di lavoro, intendendo così specificare la unicità e vincolatività dei contratti di riferimento, anche per i datori di lavoro non aderenti alle associazioni stipulanti. Il ricorso è fondato, essendo conforme a quello dei due contrastanti orientamenti giurisprudenziali che queste Sezioni Unite ritengono di condividere siccome più aderente alla disciplina dettata in materia. È, dunque, al riguardo opportuno premettere all’esame di tali orientamenti e, quindi, al componimento del contrasto giurisprudenziale, del quale sono state investite queste Sezioni Unite, il quadro normativo di riferimento. Ai sensi dell’art. 12 legge 30 aprile 1969 n. 153, per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale, si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro, in danaro o in natura, in dipendenza del rapporto di lavoro, con esclusione di determinate somme specificamente indicate nel secondo comma del medesimo articolo. Secondo l’unanime giurisprudenza in proposito, il collegamento normativo dei contributi previdenziali alla retribuzione va inteso nel senso che la base imponibile debba restare insensibile agli eventuali inadempimenti del datore di lavoro all’obbligazione retributiva, dovendo in ogni caso farsi riferimento a tutta la retribuzione dovuta, a prescindere da quella materialmente erogata, e, quindi, a tutta quella che il lavoratore ha diritto di ricevere (Cassazione 12 agosto 1999 n. 8620; 4 marzo 1997 n. 1898; 15 maggio 1993 n. 5547). Nell’ambito di questa disciplina, l’art. 1 DL 9 ottobre 1989 n. 338, convertito nella legge 7 dicembre 1989 n. 389, confermato espressamente dall’ottavo comma dell’art. 6 D. Lgs. n. 314 del 1997, ha stabilito il limite minimo di retribuzione imponibile ai fini contributivi, prevedendo che la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo Tanto premesso, va rilevato che, in sede d’interpretazione di detta disciplina, si è formato un primo orientamento giurisprudenziale, secondo cui gli emolumenti eccedenti il minimo retributivo costituzionale, commisurato, in conformità dell’art. 36 Cost., alla retribuzione minima prevista dai contratti collettivi non applicati in concreto nel singolo rapporto di lavoro, non sono assoggettati a contribuzione. Esso si fonda sulle seguenti osservazioni. L’art. 1 DL n. 338 del 1989, convertito in legge n. 389 del 1989, ha bensì precisato quali siano i minimali retributivi imponibili, individuandoli nelle retribuzioni dovute in quanto stabilite dalle fonti normative ivi indicate, ma ha ciò fatto sul presupposto dell’applicabilità di tali fonti alla singola fattispecie e, quindi, dell’obbligatorietà per il datore di lavoro di corrispondere dette retribuzioni, che debbono perciò ritenersi dovute, almeno per la parte corrispondente al minimo costituzionale garantito dall’art. 36 Cost., e, correlativamente, sul presupposto che il lavoratore abbia il diritto di riceverle. Ove pertanto il datore di lavoro non sia direttamente obbligato alla corresponsione del complessivo trattamento retributivo previsto nella sede collettiva di cui al citato art. 1, il riferimento, quale limite minimo, all’importo della retribuzione pattuita in tale sede deve intendersi posto ai fini contributivi quale criterio parametrico per individuare il minimo retributivo costituzionale, rispondente ai principi di proporzionalità e sufficienza, sanciti dall’art. 36 cit.. Si perverrebbe altrimenti a risultati, da un lato, contrastanti con lo stesso titolo dall’art. 1 in esame (“…limite minimo di retribuzione imponibile”), poiché non sarebbero stabiliti minimi di retribuzione imponibile, ma questa, piuttosto, verrebbe a coincidere con una sorta di massimo retributivo, per effetto del riferimento a tutte le voci retributive previste dalla contrattazione collettiva, anche se non erogate dal datore di lavoro perché non dovute; dall’altro, iniqui, perché la parte di contribuzione a carico del lavoratore verrebbe ad essere anch’essa calcolata su somme dal lavoratore stesso non ricevute, relativamente a quegli emolumenti pure previsti dal contratto collettivo, ma a lui non dovuti per l’inapplicabilità del contratto, con conseguente esborso non proporzionato ai compensi ricevuti. II primo comma dall’art. 1 in esame avrebbe dunque portata meramente interpretativa, nel senso che, in sostanza, avrebbe confermato l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 12 legge n. 153 del 1969, secondo cui all’espressione contenuta in tale articolo “tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro”, quale retribuzione imponibile ai fini contributivi, va attribuito il significato di “tutto ciò che il lavoratore ha diritto di ricevere dal datore di lavoro”, quanto meno con riferimento alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva indicata nel citato art. 1 nei limiti, peraltro, della sua applicabilità in concreto sotto il profilo dell’art. 36 della Costituzione (Cassazione 12 agosto 1999 n. 8620; 22 maggio 1999 n. 5002; 4 marzo 1997 n. 1898). L’opposto orientamento, secondo cui, invece, sono soggetti a contribuzione previdenziale anche gli elementi retributivi eccedenti il minimo costituzionale (Cassazione 110 maggio 2000 n. 6024; 17 febbraio 2000 n. 1767; 28 ottobre 1999 n. 12122), si basa sui diversi, seguenti argomenti.

La prescrizione contenuta nell’art. 1 DL n. 338 del 1989, con portata innovativa, ha aggiunto al previgente principio, secondo cui l’imponibile si determina sul dovuto e non su quanto, di fatto, erogato, il nuovo ed ulteriore criterio del minimale contributivo, quello cioè determinato dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale. Non è, d’altra parte, ravvisabile una stretta correlazione fra retribuzione dovuta nell’ambito del rapporto di lavoro e retribuzione imponibile ai fini contributivi, dato che l’obbligatorietà del minimo contributivo non è condizionata all’applicazione dei contratti collettivi, a differenza di quanto enunciato in materia di fiscalizzazione degli oneri sociali dell’art. 6, comma nono, dello stesso DL n. 338 del 1989, che prevede quel beneficio solo quando sono corrisposte le retribuzioni determinate dai contratti collettivi. Inoltre, le due categorie giuridiche di “retribuzione imponibile” e “minimale retributivo ai fini contributivi” hanno finalità diverse, attenendo le disposizioni relative alla prima categoria (art. 6 D. Lgs. n. 314 del 1997) alla distinzione fra erogazioni che devono essere computate ai fini contributivi ed erogazioni che devono essere escluse secondo la prevista elencazione tassativa, mentre l’art. 1 DL n. 338 del 1989 fissa un imponibile da sottoporre a contribuzione anche se la retribuzione dovuta ed erogata al lavoratore sia inferiore. Da questa differenza risulta quindi evidente la scelta legislativa di considerare la fonte collettiva più rappresentativa come parametro più idoneo a adempiere la finzione di tutela assicurativa nonché a garantire l’equilibrio finanziario della gestione previdenziale, e risulta, altresì, del pari evidente l’autonomia del riferimento alla contrattazione collettiva nell’ambito del rapporto giuridico previdenziale rispetto a quella nell’ambito del rapporto giuridico di lavoro, con una divaricazione, fra retribuzione dovuta al lavoratore e quella minima imponibile, che è peraltro già presente nel settore dell’edilizia (art. 29 DL n. 244 del 1995, convertito in legge n. 341 del 1995) ed in quello dell’agricoltura (art. 28 DPR n. 488 del 1968). Ebbene, come si è sopra anticipato, ritengono queste Sezioni Unite che questo secondo orientamento, siccome più aderente al testo legislativo, debba essere senz’altro seguito.

Al riguardo, devesi tener presente che l’art. 1 DL n. 338 del 1989, imponendo un confronto tra retribuzione in concreto dovuta, in senso onnicomprensivo alla stregua dell’art. 12 legge 30 aprile 1968 n. 153; e retribuzione astrattamente prevista ai fini contributivi, allo scopo di stabilire che la base imponibile individuata nella prima di dette retribuzioni sia uguale o superiore, ma non inferiore alla seconda delle medesime, presuppone necessariamente che siano valutate voci retributive omogenee, e, quindi, tutte quelle rilevanti nel concreto rapporto di lavoro e tutte quelle eventualmente non rilevanti in concreto nel rapporto di lavoro, ma risultanti dalla contrattazione collettiva delle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale e, quindi, in ogni caso rilevanti nel rapporto previdenziale, come se, in forza del citato art. 1, fossero dovute anche in quello di lavoro.

Quest’ultimo articolo, infatti, nel fare riferimento a detta contrattazione, non prevede che siano apportate limitazioni alle voci retributive ivi indicate, sicché, l’esclusione di alcune di queste operata in via interpretativa, con l’assunzione, come parametri ex art. 36 Cost., dei criteri generalmente applicati si fini della determinazione della “giusta retribuzione”, sarebbe non solo arbitraria, ma anche incongrua. Invero, da un lato, il ricorso alla contrattazione collettiva ex art. 36 Cost., ai fini di detta determinazione, non sarebbe ovviamente congruo, non trattandosi di calcolare la giusta retribuzione, ma, piuttosto, di stabilire il rapporto tra retribuzione oggetto del rapporto di lavoro e retribuzione parametro ai fini contributivi; d’altro lato, non solo sarebbe non legittima alcuna esclusione, siccome non prevista, ma, ad un tempo, sarebbe contraddittorio riconoscere la (ovvia) vincolatività dell’art. 1 in questione con la conseguente applicazione delle fonti normative ivi indicate, e, poi, però, subordinarne l’operatività nel caso concreto soltanto ove siano applicabili ex art. 36 Cost. o siano applicate dai datori di lavoro nel concreto rapporto. È bensì vero che si profila la configurabilità di una divaricazione tra retribuzione rilevante nel concreto rapporto di lavoro e retribuzione virtuale, assunta come parametro ai fini contributivi, ma l’orientamento giurisprudenziale che qui si contrasta, anche se correttamente ne rileva le conseguenze effettivamente dissonanti derivanti dall’applicazione dell’aliquota contributiva su retribuzioni eventualmente non reali, non tiene pero conto che, come ha rilevato l’opposto orientamento qui seguito, la possibile divaricazione a vantaggio del rapporto previdenziale consente il tendenziale conseguimento di una migliore tutela assicurativa dei lavoratori, di un equilibrio finanziario della gestione previdenziale e della parità delle condizioni tra le imprese, a prescindere dalla loro adesione alle organizzazioni sindacali più rappresentative. Nè si può condividere l’autorevole dottrina che, nel manifestare particolare preoccupazione a causa di questa divaricazione, ritiene che la nozione di retribuzione di cui all’art. 1 dovrebbe ricavarsi, in forza dell’interpretazione dei contratti collettivi ivi indicati, alla stregua dell’art. 36 Cost., posto che detto articolo uno, anzitutto, non ha abrogato l’art. 12 sopra citato, e, poi, esso stesso ben può qualificarsi innovativo, nel senso che ha aggiunto al principio d’onnicomprensività, ai fini contributivi, di cui al medesimo art. 12, il criterio del minimale contributivo, sicché, in definitiva, deve affermarsi che la necessità di rendere possibile un confronto tra retribuzioni “concretamente” rilevanti nel rapporto di lavoro e retribuzioni “virtualmente” rilevanti, ai fini contributivi, nel rapporto previdenziale, impone che tutto quanto rileva, in denaro e in natura, secondo l’art. 12, del pari rilevi secondo le fonti di cui all’art. 1. D’altra parte, la denunciata, possibile divaricazione non solo emerge, per quanto si è detto, dalla stessa legge (art. 1), ma ha superato altresì il vaglio della Corte Costituzionale. Invero, l’art. 28 DPR 27 aprile 1968 n. 488, nel settore dell’agricoltura, determinava la retribuzione utile ai fini contributivi sulla base delle retribuzioni di cui ai contratti collettivi vigenti annualmente per ogni provincia, con possibile divaricazione dalla retribuzione spettante. Orbene, detto sistema, che non consentiva di tener conto di usi normativi che stabilivano una giornata lavorativa di durata inferiore a quella fissata dalla contrattazione collettiva di settore, è stato ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 342 del 1992, testualmente “in combinato disposto con l’art. 1, primo comma, DL n. 338 del 1989, convertito in legge n. 389 del 1989“, osservandosi che esso consente di effettuare un bilanciamento d’interessi, assicurato dall’utilizzazione di contratti collettivi come modelli generali o parametri validi per la generalità dei datori di lavoro, senza peraltro conferire ai contratti collettivi medesimi efficacia “erga omnes” per quanto attiene al rapporto di lavoro, essendo questo del tutto distinto da quello previdenziale.

È, infine, opportuno rilevare (come peraltro già in Cassazione 28 ottobre 1999 n. 12122) che l’obbligatorietà del minimo contributivo non risulta condizionata all’applicazione delle fonti di cui al più volte citato art. 1, a differenza di quanto enunciato in materia di fiscalizzazione degli oneri sociali dell’art. 6, comma nono, della stessa legge n. 389 del 1989, che prevede l’operatività del beneficio solo quando vengano corrisposte in concreto le retribuzioni determinate da dette fonti. Al riguardo, si distinguono appunto, rispettivamente, un obbligo, per quanto attiene al rapporto previdenziale, a prescindere dal contenuto del rapporto di lavoro, ed un onere, per quanto attiene alla predetta operatività.

Dalle considerazioni che precedono discende, in particolare, che il principio di cui ora devesi fare applicazione non è più soltanto quello per cui l’imponibile si determina sul “dovuto” e non su quanto “di fatto erogato” (art. 12 legge n. 153 del 1969).

Invero, quando, dopo la legge n. 389 del 1989, alle regole sull’imponibile contributivo si aggiunge il nuovo ed ulteriore criterio del “minimale” contributivo dell’art. 1 legge n. 389 del 1989, la retribuzione “dovuta” in sinallagma nel rapporto di lavoro risulta rilevante solo se “è superiore” ai minimi previsti dal contratto collettivo, mentre in caso contrario non rileva e vale la misura minima determinata dal contratto collettivo. In altre parole, secondo la norma in esame, gli accordi collettivi diversi da quelli stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (ad es. gli accordi aziendali o provinciali), ovvero gli accordi individuali, hanno rilevanza ai fini contributivi solo quando determinino una retribuzione superiore al minimale, mentre, in caso contrario, restano irrilevanti e la contribuzione va parametrata al minimale. Nella specie, il Tribunale di Catania ha seguito l’orientamento giurisprudenziale qui non condiviso e, pertanto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa ad un giudice di pari grado, che si designa nella Corte d’Appello di Messina. Questo giudice si atterrà al seguente principio:

“L’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non pub essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, secondo il riferimento ad essi fatto – con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale – dall’art. 1 DL n. 338 del 1989, senza le limitazioni derivanti dall’applicazione dei criteri di cui all’art. 36 Cost., che sarebbero giustificate solo ove a detti contratti si dovesse ricorrete – con incidenza sul distinto rapporto di lavoro – ai fini della determinazione della giusta retribuzione”.

Si terrà quindi conto, nel calcolo della base contributiva, dell’indennità “una tantum” e della quattordicesima mensilità, contemplate nei contratti collettivi nazionali di cui all’art. 1 citato, mentre si escluderà, nel medesimo, il “terzo elemento”, siccome previsto dal contratto integrativo provinciale.

Alla stessa Corte d’Appello si rimette altresì la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Messina anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 30 maggio 2002.

DECRETO LEGISLATIVO 23 aprile 2004, n. 124 Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell’articolo 8 della legge 14 febbraio 2003, n. 30. (GU n.110 del 12-5-2004 ) note: Entrata in vigore del decreto: 27-05-2004

DECRETO-LEGGE 13 agosto 2011, n. 138 Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. (11G0185) (GU n.188 del 13-8-2011 ) note: Entrata in vigore del provvedimento: 13/08/2011. Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. 14 settembre 2011, n. 148 (in G.U. 16/09/2011, n. 216).

LEGGE 14 settembre 2011, n. 148 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari. (11G0190) (GU n.216 del 16-9-2011 ) note: Entrata in vigore del provvedimento: 17/09/2011

DECRETO-LEGGE 9 ottobre 1989, n. 338 Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati. (GU n.237 del 10-10-1989 ) note: Entrata in vigore del decreto: 10/10/1989. Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. 07 dicembre 1989, n. 389 (in G.U. 09/12/1989, n.287).

LEGGE 7 dicembre 1989, n. 389 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, recante disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati. (GU n.287 del 9-12-1989 ) note: Entrata in vigore della legge: 10/12/1989.

LEGGE 30 aprile 1969, n. 153 Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale. (GU n.111 del 30-4-1969 – Suppl. Ordinario )

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 27 aprile 1968, n. 488 Aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria. (GU n.109 del 30-4-1968 )

LEGGE 28 dicembre 1995, n. 549 Misure di razionalizzazione della finanza pubblica. (GU n.302 del 29-12-1995 – Suppl. Ordinario n. 153 ) note: Entrata in vigore della legge: 1-1-1996

LEGGE 27 dicembre 2006, n. 296 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007). (GU n.299 del 27-12-2006 – Suppl. Ordinario n. 244 ) note: Entrata in vigore della legge: 1/1/2007, ad eccezione dei commi 966, 967, 968 e 969 che entrano in vigore il 27/12/2006.

DECRETO LEGISLATIVO 2 settembre 1997, n. 314 Armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni fiscali e previdenziali concernenti i redditi di lavoro dipendente e dei relativi adempimenti da parte dei datori di lavoro. (GU n.219 del 19-9-1997 – Suppl. Ordinario n. 188 )

DECRETO-LEGGE 23 giugno 1995, n. 244 Misure dirette ad accelerare il completamento degli interventi pubblici e la realizzazione dei nuovi interventi nelle aree depresse ((, nonché disposizioni in materia di lavoro e occupazione)). (GU n.146 del 24-6-1995 ) note: Entrata in vigore del decreto: 24-6-1995. Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. 8 agosto 1995, n. 341 (in G.U. 18/08/1995, n.192).

LEGGE 8 agosto 1995, n. 341 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 giugno 1995, n. 244, recante misure dirette ad accelerare il completamento degli interventi pubblici e la realizzazione dei nuovi interventi nelle aree depresse. (GU n.192 del 18-8-1995 ) note: Entrata in vigore della legge: 19-8-1995

 

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Direzione Generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali

Divisione V Via Fornovo, 8 – 00192 Roma Tel. 06.4683.4068

pec: dgrapportilavoro.div5@pec.lavoro.gov.it e-mail: dgrapportiavorodiv5@lavoro.gov.it www.lavoro.gov.it

 

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