CIRCOLARE N. 1/2017 del 09/07/2017 Ispettorato Nazionale del Lavoro Oggetto: D.Lgs. n. 136/2016 distacco transnazionale di lavoratori – indicazioni operative al personale ispettivo.

Gentili colleghi,

ritenendo di fare cosa gradita nei confronti degli associati e non, lo Staff ILA, segnala la CIRCOLARE N. 1/2017 del 09/07/2017 Ispettorato Nazionale del Lavoro Oggetto: D.Lgs. n. 136/2016 – attuazione della Direttiva 2014/67/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 – distacco transnazionale di lavoratori – indicazioni operative al personale ispettivo<.

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CIRCOLARE N. 1/2017 del 09/07/2017 Ispettorato Nazionale del Lavoro<

CIRCOLARE N. 1/2017, INL CIRCOLARI REGISTRAZIONE N. 1 DEL 09/01/2017. Oggetto: D.Lgs. n. 136/2016 – attuazione della Direttiva 2014/67/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 – distacco transnazionale di lavoratori – indicazioni operative al personale ispettivo.<

Il 22 luglio u.s. è entrato in vigore il D.Lgs. n. 136/2016, emanato in attuazione della Direttiva 2014/67/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, concernente l’applicazione della Direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi e recante la modifica del Regolamento (UE) n. 1024/2012 sulla cooperazione amministrativa attraverso il Sistema di Informazione del Mercato Interno (IMI).

La finalità primaria perseguita dal Legislatore comunitario con l’emanazione della Direttiva 2014/67 (c.d. Enforcement) è stata quella di migliorare ed uniformare l’applicazione della Direttiva n. 96/71 (c.d. direttiva madre), superando le difficoltà oggettive rincontrate nei diversi Stati membri in ordine alla prevenzione e al contrasto delle pratiche di dumping sociale e di utilizzo abusivo ed elusivo dell’istituto del distacco transnazionale.

In tale ottica “antielusiva”, sono state introdotte nell’ordinamento interno le disposizioni di recepimento di cui al Decreto n. 136/2016, con l’obiettivo precipuo di impedire e contrastare, anche mediante una attività di vigilanza mirata ed efficace, la possibile gamma di pratiche illegali poste in essere da quelle imprese che traggono indebito o fraudolento vantaggio dalla libera prestazione di servizi sancita dall’art. 56 TFUE.

Il nuovo quadro normativo consente, altresì, di superare le più rilevanti problematiche emerse in fase di controllo ispettivo, afferenti in particolare alla mancata tracciabilità del fenomeno, atteso che sotto la previgente disciplina non era prevista alcuna forma di monitoraggio in ordine alle aziende e ai lavoratori coinvolti, né tantomeno specifici adempimenti in capo alle suddette aziende.

Il processo di trasposizione della Direttiva 67, in una prospettiva di massima semplificazione, ha costituito inoltre l’occasione per racchiudere in un unico testo legislativo la disciplina applicabile alle fattispecie di distacco transnazionale di lavoratori: l’art. 26 del decreto in esame ha, infatti, sancito l’abrogazione espressa delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 72/2000, attuative della Direttiva 96/71/CE, le quali sono confluite con parziali modificazioni nel corpo del medesimo decreto n. 136.

In relazione a quanto sopra, al fine di assicurare un uniforme svolgimento dell’attività di vigilanza, appare opportuno riepilogare, d’intesa con l’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il nuovo quadro giuridico e fornire le necessarie indicazioni di carattere operativo per una corretta applicazione del regime sanzionatorio ivi contenuto.

1. Campo di applicazione

Ai sensi dell’art. 1, comma 1, del decreto, che riproduce sostanzialmente l’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 72/2000, la disciplina in esame trova applicazione nei confronti delle imprese stabilite in un altro Stato membro dell’Unione europea che, nell’ambito di una prestazione di servizi, distaccano in Italia uno o più lavoratori in favore di un’altra impresa, anche se appartenente allo stesso gruppo, o in favore di un’altra unità produttiva o di un altro destinatario, a condizione che durante il periodo di distacco continui a sussistere un rapporto di lavoro tra il lavoratore distaccato e l’impresa distaccante.

In proposito si precisa che, ai sensi del successivo art. 2, comma 1 lett. d), per lavoratore distaccato deve intendersi “il lavoratore abitualmente occupato in un altro Stato membro che per un periodo limitato, predeterminato o predeterminabile con riferimento ad un evento futuro e certo, svolge il proprio lavoro in Italia”.

La normativa richiamata contempla dunque, come la previgente disposizione, tre diverse ipotesi di distacco temporaneo di lavoratori:

da parte di un’azienda avente sede in un diverso Stato membro presso una propria filiale situata in Italia;

da parte di un’azienda avente sede in un diverso Stato membro presso una azienda italiana appartenente al medesimo gruppo di impresa (c.d. distacco infragruppo);

nell’ambito di un contratto di natura commerciale (appalto di opera o di servizi, trasporto ecc.), stipulato con un committente (impresa o altro destinatario) avente sede legale o operativa nel territorio italiano.

Il Decreto in esame trova applicazione anche nei confronti delle agenzie di somministrazione di lavoro stabilite in un altro Stato membro che distaccano lavoratori presso una impresa utilizzatrice avente la propria sede o unità produttiva in Italia (art. 1, comma 2). Al riguardo si ricorda che l’autorizzazione prevista dall’art. 4, D.Lgs. n. 276/2003, per svolgere legittimamente l’attività di somministrazione nel nostro Paese, non viene richiesta alle agenzie stabilite in uno Stato membro diverso dall’Italia, qualora quest’ultime dimostrino di operare in forza di un provvedimento amministrativo equivalente, ove contemplato dalla legislazione dello Stato di appartenenza (art. 1, comma 3; cfr. ML circ. n. 14/2015).

La normativa in analisi, invece, non si applica nei confronti del personale navigante delle imprese della marina mercantile (art. 1, comma 6).

Va segnalato, infine, che rientrano nel campo di applicazione del Decreto, come del resto già previsto dal D.Lgs. n. 72/2000, anche le ipotesi di distacco di cui all’art. 1, comma 1, posto in essere da imprese stabilite in uno Stato terzo/extra UE (ad es. art. 27, comma 1, lett. i, D.Lgs. n. 286/1998) sempre che le medesime fattispecie non risultino disciplinate da leggi speciali (ad es. Direttiva 2014/66/UE relativa ai trasferimenti intrasocietari di dirigenti e lavoratori altamente qualificati operati da imprese aventi sede in Paesi extra UE).

2. Settore del trasporto su strada

Per espressa previsione normativa (art. 1, comma 4), nel settore del trasporto su strada le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 136 trovano applicazione anche alle ipotesi di cabotaggio di cui al Capo III del Regolamento (CE) n. 1072/2009 e al Capo V del Regolamento (CE) n. 1073/2009.

Il Legislatore nazionale, senza incidere in alcun modo sul campo di applicazione della precedente normativa (art. 1 D.lgs. n. 72/2000 di recepimento della Direttiva 96/71/CE), ha inteso esclusivamente esplicitare quanto previsto dai Regolamenti comunitari concernenti rispettivamente “l’accesso al mercato internazionale del trasporto di merci su strada” e “l’accesso al mercato internazionale dei servizi di trasporto (di passeggeri) effettuati con autobus”.

Nello specifico, si fa riferimento al considerando 17 del Reg. n. 1072, in base al quale “le disposizioni della direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito della prestazione di servizi, si applicano alle imprese di trasporto che effettuano trasporti di cabotaggio”, nonché al considerando 11 del Reg. n. 1073, che recita “le disposizioni della direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito della prestazione di servizi si applicano alle imprese di trasporto che effettuano trasporti di cabotaggio”.

Per quanto concerne il cabotaggio stradale di merci, si precisa che il Capo III del Regolamento n. 1072/2009 definisce le condizioni e i limiti entro i quali un vettore stabilito in un Paese membro dell’Unione europea può svolgere – a titolo solo temporaneo – attività di cabotaggio, ossia di autotrasporto di merci su strada per conto terzi all’interno di un altro Paese membro (c.d. Stato ospitante), circoscrivendo la durata complessiva ad un arco temporale di sette giorni e fissando in tre il numero massimo di operazioni consentite in tale periodo ( cfr. artt. da 8 a 10 Regolamento e circolare Ministero dell’Interno e del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti del 15 gennaio 2015).

In concreto, il cabotaggio segue sempre una tratta di trasporto internazionale ed è ammesso, nel caso di ingresso in Italia con veicolo carico, nel rispetto delle seguenti condizioni:

a. solo dopo che il vettore ha consegnato integralmente le merci entrate in Italia per il tramite del citato trasporto internazionale;

b. l’ultimo scarico delle merci in regime di cabotaggio prima di lasciare il territorio nazionale deve essere effettuato entro sette giorni dallo scarico integrale di cui al punto a).

Nel caso di ingresso in Italia con veicolo vuoto, a seguito di un trasporto internazionale che coinvolge almeno due Stati membri diversi dall’Italia, vanno rispettate, invece, le seguenti condizioni:

a. il trasportatore può effettuare in Italia una sola operazione di cabotaggio, entro tre giorni dall’ingresso del veicolo vuoto nel nostro territorio;

b. tale operazione di cabotaggio, inoltre, deve essere effettuata nel rispetto dell’ulteriore termine complessivo di sette giorni dallo scarico totale delle merci eseguito in altro Stato membro nell’ambito del citato trasporto internazionale

In ordine al cabotaggio stradale di persone occorre fare riferimento alle disposizioni di cui al Regolamento (CE) n. 1073/2009, ed in particolare del Capo V che disciplina le operazioni di cabotaggio, nonché alle circolari interpretative emanate al riguardo dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Ad ogni modo, va puntualizzato che laddove sia accertato che il vettore operi in violazione della regolamentazione comunitaria relativa al cabotaggio di merci o di persone, c.d. cabotaggio irregolare (ad es. effettuando più di tre viaggi nel paese di destinazione nell’arco di un periodo di 7 giorni), trova comunque applicazione, con riferimento ai lavoratori interessati, il nuovo Decreto in materia di distacco transnazionale.

Ciò chiarito, si precisa che per il settore del trasporto su strada, di merci o di passeggeri, il Decreto n. 136 trova applicazione nelle seguenti ipotesi:

a. somministrazione transnazionale di autisti da parte di agenzie di lavoro temporaneo di altro Stato membro presso una azienda utilizzatrice italiana, ex art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 136/2016;

b. impiego di lavoratori per l’effettuazione di operazioni di cabotaggio ai sensi del Capo III del Regolamento (CE) n. 1072/2009 e del Capo V del Regolamento (CE) n. 1073/2009, consistenti in una tratta di trasporto internazionale e seguite dall’uscita del mezzo dall’Italia, ex art. 1, comma 4, D.Lgs. n. 136.

Nell’ambito del settore trasporto va evidenziato che i servizi di trasporto internazionale su strada che comportano il mero transito su territorio italiano, ovvero il semplice attraversamento che non dia luogo ad attività di carico/scarico merci o imbarco/sbarco passeggeri, non configurano la fattispecie di distacco transnazionale e, conseguentemente, non comportano l’applicazione del Decreto n. 136/2016 e dei relativi obblighi; ciò in ragione della circostanza che in tali ipotesi manca il presupposto della prestazione transnazionale di servizi in favore di un destinatario operante in territorio italiano.

Con riferimento alle altre ipotesi di trasporto internazionale la cui origine o destinazione sia l’Italia, va osservato che la peculiarità delle prestazioni svolte dai lavoratori mobili che spesso, nell’ambito di uno stesso trasporto internazionale, si trovano ad operare sul territorio di diversi Stati membri anche solo per periodi molto brevi e tali da non giustificare l’imposizione di oneri atti a limitare il principio di libera prestazione di servizi, impone una valutazione particolarmente prudente delle possibili fattispecie rientranti nel campo di applicazione della normativa in analisi.

Pertanto, nelle more di un chiarimento a livello europeo in merito alla definizione di criteri univoci e condivisi di individuazione delle fattispecie di trasporto internazionale escluse dal campo di applicazione della direttiva distacco e sino alla predisposizione di diverse istruzioni operative al riguardo, non si ritiene esigibile l’adempimento degli obblighi di cui all’art. 10 in tutte le ipotesi di trasporto la cui origine o destinazione sia l’Italia che non costituiscano operazioni di cabotaggio o non comportino somministrazione transnazionale di manodopera.

3. Autenticità del distacco ed elementi oggetto di verifica (art. 3)

Allo scopo di agevolare l’individuazione di situazioni di possibile frode, abuso ed elusione, l’art. 3 del decreto n. 136/2016 declina gli elementi fattuali che connotano le diverse forme di distacco transnazionale, individuando altresì quali siano le principali conseguenze sanzionatorie nel caso in cui gli organi di vigilanza accertino fattispecie di distacco non autentico, ossia quelle ipotesi in cui il distacco posto in essere risulti solo apparente in quanto finalizzato all’aggiramento delle leggi nazionali in materia di condizioni di lavoro e sicurezza sociale, sostanziandosi in un utilizzo elusivo dell’istituto e in una compromissione della leale concorrenza tra le imprese del mercato unico.

In particolare la disposizione citata, sulla falsariga dell’art. 4 della Direttiva 2014/67/UE, individua in modo non tassativo quali siano gli elementi che gli organi di vigilanza sono tenuti ad esaminare ai fini dell’accertamento in ordine all’autenticità del distacco, sia con riferimento all’impresa distaccante che con riguardo al lavoratore distaccato, elementi che non vanno considerati isolatamente ma che devono essere oggetto di una valutazione complessiva.

Ai sensi dell’art. 3, comma 2, per accertare se nel caso concreto l’impresa distaccante svolga attività diverse da quelle di mera gestione o amministrazione del personale, e dunque non si tratti né di aziende fittizie (c.d. società di comodo o letter box companies), né di aziende che sebbene operative sul mercato si limitino alla mera fornitura non autorizzata di lavoratori, gli organi di vigilanza sono chiamati a verificare i seguenti elementi:

a) il luogo in cui l’impresa ha la propria sede legale e amministrativa, i propri uffici, reparti o unità produttive;

b) il luogo in cui l’impresa è registrata alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura o, ove sia richiesto in ragione dell’attività svolta, ad un albo professionale;

c) il luogo in cui i lavoratori sono assunti e quello da cui sono distaccati;

d) la disciplina applicabile ai contratti conclusi dall’impresa distaccante con i suoi clienti e con i suoi lavoratori;

e) il luogo in cui l’impresa esercita la propria attività economica principale e in cui risulta occupato il suo personale amministrativo;

f) il numero dei contratti eseguiti o l’ammontare del fatturato realizzato dall’impresa nello Stato membro di stabilimento, tenendo conto della specificità delle piccole e medie imprese e di quelle di nuova costituzione;

g) ogni altro elemento utile alla valutazione complessiva.

Il comma 3 del citato art. 3 contempla anche un elenco di elementi utili per accertare se il lavoratore sia effettivamente distaccato, elementi che dovranno essere oggetto di una valutazione complessiva e congiunta rispetto a quelli sopra indicati:

a) il contenuto, la natura e le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa e la retribuzione del lavoratore;

b) la circostanza che il lavoratore eserciti abitualmente, ai sensi del regolamento (CE) n. 593/2008 (Roma I), la propria attività nello Stato membro da cui è stato distaccato;

c) la temporaneità dell’attività lavorativa svolta in Italia;

d) la data di inizio del distacco;

e) la circostanza che il lavoratore sia tornato o si preveda che torni a prestare la sua attività nello Stato membro da cui è stato distaccato;

f) la circostanza che il datore di lavoro che distacca il lavoratore provveda alle spese di viaggio, vitto o alloggio e le modalità di pagamento o rimborso;

g) eventuali periodi precedenti in cui la medesima attività è stata svolta dallo stesso o da un altro lavoratore distaccato;

h) l’esistenza del certificato relativo alla legislazione di sicurezza sociale applicabile;

i) ogni altro elemento utile alla valutazione complessiva.

Si evidenzia come entrambi gli elenchi prevedano, rispettivamente alla lettera g) ed i), una clausola di chiusura volta ad evidenziare che si tratta di liste di elementi di valutazione dal carattere meramente esemplificativo.

Riguardo alla valutazione complessiva operata dagli organi di vigilanza si precisa, inoltre, che:

come chiarito nel Vademecum sul distacco ad uso degli ispettori del lavoro e delle imprese del 2010, comune denominatore delle fattispecie in esame, è la sussistenza di un legame organico tra lavoratore distaccato e l’impresa distaccante per tutto il periodo del distacco, inteso quale potere da parte di quest’ultima di determinare la natura del lavoro svolto; “la prestazione lavorativa, necessariamente di durata limitata, deve essere pertanto espletata nell’interesse e per conto dell’impresa distaccante, sulla quale continuano a gravare i tipici obblighi del datore di lavoro, ossia la responsabilità in materia di assunzione, la gestione del rapporto, i connessi adempimenti retributivi e previdenziali, nonché il potere disciplinare e di licenziamento”;

il modello che attesta l’iscrizione dell’impresa straniera al sistema di sicurezza sociale nel paese d’origine (c.d. ex Mod. E 101 oggi Mod. A1), non contiene informazioni né sulle condizioni di lavoro, né sull’adempimento degli obblighi retributivi e contributivi da parte dell’azienda, né notizie sull’effettiva sussistenza del rapporto di lavoro (Regolamento (CE) n. 883/2004; Regolamento di applicazione n. 987/2009). Il suddetto certificato concerne, infatti, la legislazione di sicurezza sociale applicabile al lavoratore distaccato, attestando l’obbligo per l’impresa distaccante di pagare i contributi esclusivamente nello Stato membro di stabilimento e non anche in quello ospitante. Ciò in quanto, dal punto di vista previdenziale, ai lavoratori distaccati nell’ambito di una prestazione transnazionale di servizi si applica il principio di “personalità” – opposto al principio di “territorialità” vigente invece in materia di condizioni di lavoro – che consente di mantenere il regime contributivo (previdenziale ed assistenziale) del Paese d’origine, mediante il rilascio dei Modelli A1 da parte del competente Istituto del medesimo Paese.

Ciò premesso si osserva che:

a mancanza del Mod. A1, ovvero della relativa richiesta avente data certa, “può indicare che la situazione non sia qualificabile come distacco genuino” (cfr. considerando 12, Direttiva 2014/67/UE), costituendo uno degli elementi utili per la valutazione complessiva, peraltro non decisivo, potendo ciononostante l’operazione posta in essere risultare comunque genuina;

la presenza del Mod. A1, ovvero della relativa richiesta avente data certa, non esclude la possibilità per gli organi di vigilanza di accertare eventuali ipotesi di frode, abuso o elusione, in ragione del riscontro di profili che depongano in tal senso;

laddove la durata del distacco sia superiore ai 24 mesi (previsti dal Regolamento (CE) n. 883/2004 e dal Regolamento di applicazione n. 987/2009), o comunque si riscontrino ulteriori elementi che depongano per la non temporaneità del distacco stesso (ad es. nelle ipotesi di reiterati distacchi con il medesimo lavoratore senza soluzione di continuità ovvero con brevi intervalli o nel caso in cui una pluralità di aziende distaccanti che fanno capo ad uno stesso soggetto utilizzano il medesimo lavoratore per un periodo complessivamente superiore a quello ritenuto compatibile con la natura temporanea del distacco stesso), occorre in ogni caso effettuare una valutazione complessiva degli ulteriori elementi fattuali di cui all’art. 3 citato ai fini dell’accertamento di un distacco non autentico o fraudolento, non essendo normativamente fissato un limite temporale massimo superato il quale il distacco non sia da considerarsi autentico.

4. Distacco non autentico ed interposizione illecita

Dalla lettura degli elementi fattuali previsti dal citato art. 3 si evince che le ipotesi di distacco non autentico sono configurabili ogniqualvolta il datore di lavoro distaccante e/o il soggetto distaccatario pongano in essere distacchi “fittizi” per eludere la normativa nazionale in materia di condizioni di lavoro e sicurezza sociale, distacchi “fittizi” che possono essere riscontrati, a titolo esemplificativo, nei seguenti casi:

1. l’impresa distaccante è una società fittizia, non esercitando alcuna attività economica nel Paese di origine;

2. l’impresa distaccante non presta alcun servizio ma si limita a fornire solo il personale in assenza della relativa autorizzazione all’attività di somministrazione;

3. il lavoratore distaccato al momento dell’assunzione da parte dell’impresa straniera distaccante già risiede e lavora abitualmente in Italia;

4. il lavoratore distaccato, regolarmente assunto dall’impresa distaccante, è stato licenziato durante il periodo di distacco e, in assenza di una comunicazione di modifica della data di cessazione del periodo di distacco, lo stesso continua a prestare attività lavorativa, sostanzialmente in nero, presso l’impresa distaccataria.

Ad ogni modo, è bene chiarire che il personale ispettivo dovrà verificare l’autenticità del distacco posto in essere con riferimento ad ogni singolo lavoratore coinvolto. È infatti possibile che, pur in presenza di una operazione fraudolenta/abusiva riferita ad una serie di lavoratori “pseudo-distaccati”, l’uso corretto dell’istituto sia riscontrabile con riferimento alla posizione di uno o altri lavoratori, parimenti indicati nella comunicazione preventiva di distacco o comunque indicati come tali dal prestatore di servizi straniero.

In merito alle fattispecie di distacco non autentico, si precisa altresì che le stesse possono ricomprendere o anche coincidere con le note ipotesi di interposizione illecita di cui al D.Lgs. n. 276/2003 (appalto, distacco e somministrazione illeciti/non genuini), ma non devono necessariamente identificarsi con quest’ultime. L’interposizione illecita, anche se spesso ricorrente, costituisce infatti soltanto una delle ipotesi integranti la fattispecie di distacco transnazionale non autentico.

Ad esempio, potrebbe essere riscontrato un distacco fittizio, ma non l’interposizione illecita o l’appalto non genuino, laddove l’operazione posta in essere risulti carente dell’elemento della transnazionalità e non invece dei requisiti di liceità richiesti dall’art. 29, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003 (si pensi a lavoratori “distaccati” che al momento dell’assunzione da parte dell’impresa straniera già risiedono e lavorano nel luogo di svolgimento dell’attività in distacco).

La fattispecie sopra descritta può risultare, inoltre, dalla circostanza che l’azienda straniera che formalmente distacca i lavoratori abbia costituito di fatto una filiale sul territorio nazionale sempre che il personale ispettivo, sulla base della rilevazione degli indicatori di cui all’art. 3, riscontri un minimo di organizzazione di mezzi e/o di persone ovvero locali, uffici, reparti, sedi operative/produttive, in ragione delle quali l’impresa eserciti e/o gestisca un’attività su base stabile e continuativa e possa di conseguenza considerarsi stabilita in Italia. In tal caso, peraltro, l’azienda dovrà ottemperare agli obblighi previsti dalla legge italiana per la tenuta dei documenti in materia di lavoro (artt. 39 e 40 del D.L. n. 112/2008, conv. da L. n. 133/2008).

Nelle suddette ipotesi, va comunque richiamata l’attenzione del personale ispettivo sulla necessità di verificare, sempre nell’ambito della valutazione complessiva degli elementi sopra richiamati, se nella specie il singolo rapporto di lavoro presenti o meno ulteriori o più stretti indici di collegamento con il Paese in cui l’azienda distaccante ha la propria sede, con conseguente applicazione, solo nel primo caso, della normativa dello Stato membro di provenienza (cfr. art. 8 Reg. CE n. 593/2008 “Regolamento Roma I”).

5. Distacco non autentico: tutele per il lavoratore e regime sanzionatorio applicabile

Ai sensi dell’art. 3, comma 4, “nelle ipotesi in cui il distacco non risulti autentico, il lavoratore è considerato a tutti gli effetti alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione”.

Ne consegue che nelle suddette ipotesi il personale ispettivo dovrà considerare il lavoratore come impiegato sul territorio italiano dal soggetto distaccatario, applicando integralmente gli istituti e le tutele in materia di lavoro e legislazione sociale previsti dalla normativa interna; l’operazione in tal modo posta in essere, infatti, deve ritenersi nulla ed il lavoratore non può essere qualificato come lavoratore distaccato ai sensi del Decreto n. 136. Ciò significa che laddove risulti dimostrata una fattispecie di pseudo distacco, il personale ispettivo dovrà applicare la disciplina italiana, riconducendo il rapporto di lavoro in capo al distaccatario dal giorno di inizio dell’attività svolta in “pseudo distacco” (committente/utilizzatore); ai fini dell’imputazione previdenziale del lavoratore alla gestione INPS va comunque tenuto presente che sarà necessario procedere al disconoscimento del Mod. A1.

Si segnala infatti che in tali casi, contraddistinti da operazioni riconducibili formalmente alla fattispecie del distacco transnazionale, ma in realtà consistenti in mere pratiche di invio fraudolento di manodopera, non risulta possibile agire in via automatica per l’applicazione della disciplina previdenziale nazionale con conseguente iscrizione del lavoratore all’INPS.

A tale scopo, occorre sempre attivare la specifica procedura di annullamento/disconoscimento del certificato A1, ai sensi dell’art. 5 del Regolamento 987/2009 (cfr. sentenza della Corte di Giustizia del 10 febbraio 2000 causa C- 202/97e decisione A1 della Commissione amministrativa del 12 giugno 2009).

In merito appare comunque opportuno, anche al fine di interrompere il decorso della prescrizione, quantificare nel corpo del verbale di accertamento gli imponibili contributivi e determinare le sanzioni civili dovute (nella misura di cui alla circolare INPS n. 49 del 16 marzo 2016 per l’ipotesi di evasione contributiva), con l’avvertenza che al loro recupero/irrogazione provvederà l’INPS all’esito della procedura di disconoscimento che per economicità amministrativa dovrà essere curata dal medesimo Istituto. A tale scopo, quindi, risulta necessario assicurare la tempestiva trasmissione del verbale ispettivo alle competenti strutture INPS.

In altri termini, per quanto attiene al profilo previdenziale gli effetti attribuiti al certificato risultano comunque vincolanti, nei confronti delle istituzioni e delle autorità competenti ad effettuare attività di vigilanza, anche qualora queste ultime abbiano riscontrato eventuali ipotesi di frode, abuso o elusione della normativa in materia di distacco, sino al loro eventuale ritiro ad opera dello Stato che li ha rilasciati ovvero sino alla decisione della Commissione amministrativa dell’Unione appositamente interessata dallo Stato ospitante. Ciò quanto il certificato A1 costituisce una importante garanzia per il lavoratore che può continuare a mantenere la propria posizione previdenziale presso un’unica gestione, evitando, di conseguenza, la frammentazione delle erogazioni pensionistiche in Istituti previdenziali di diversi Paesi.

Per quanto concerne il regime sanzionatorio applicabile, laddove il personale ispettivo riconduca il rapporto di lavoro in capo al soggetto distaccatario ex art. 3, comma 4, dovrà essere irrogata la sanzione amministrativa per la violazione conseguente alla mancata formalizzazione dell’instaurazione del rapporto di lavoro in Italia, non strettamente connessa al profilo previdenziale, ossia quella prevista in caso di mancata comunicazione di instaurazione del rapporto dall’art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003, diffidabile ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n.124/2004.

Il comma 5 dell’art. 3 stabilisce inoltre che, nelle ipotesi in cui il distacco non risulti autentico, il distaccante e il distaccario sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione, analogamente a quanto previsto dall’articolo 18, comma 5·bis, del D.Lgs. n. 276/2003. In ogni caso l’ammontare della sanzione amministrativa non può essere inferiore a euro 5.000 né superiore a euro 50.000. Se vi è impiego dei minori, la disposizione prevede l’applicazione della pena dell’arresto fino a diciotto mesi e dell’ammenda originariamente stabilita aumentata fino al sestuplo (cfr. ML circ. n. 6/2016 sul Decreto depenalizzazione n. 8/2016).

È bene precisare che l’applicazione della predetta sanzione amministrativa non è condizionata alla attivazione e definizione della procedura di disconoscimento del certificato A1 necessaria, invece, ai fini del recupero dei contributi previdenziali secondo la legislazione italiana.

Si sottolinea, infine, come il distacco non autentico non risulti comunque assimilabile alla fattispecie di “lavoro nero” con esclusione pertanto delle relative conseguenze sanzionatorie. L’eventuale impiego in “nero” dei lavoratori già interessati da una procedura di distacco potrà invece configurarsi nel caso in cui l’impiego degli stessi da parte dell’utilizzatore prosegua anche dopo la comunicazione di cessazione anticipata del distacco (ad es. nel caso di licenziamento del lavoratore nel corso del distacco).

6. Condizioni di lavoro

Ai sensi dell’art. 4, comma 1, del Decreto trovano in ogni caso applicazione nei confronti dei lavoratori distaccati, durante il periodo di distacco, le medesime condizioni di lavoro previste dalle disposizioni normative e dai contratti collettivi di cui all’art. 51, D.Lgs. n. 81/2015 per i lavoratori che effettuano prestazioni lavorative subordinate analoghe nel luogo in cui si svolge il distacco (c.d. livelli minimi di condizioni di lavoro e occupazione).

Nello specifico, come già chiarito dal Ministero del lavoro con circ. n. 14/2015, laddove l’attività lavorativa sia svolta in Italia, quest’ultima risulta disciplinata dalle disposizioni di legge, dalle indicazioni amministrative e dalle clausole della contrattazione collettiva italiane, con riferimento a:

– periodi massimi di lavoro e minimi di riposo;

– durata minima delle ferie annuali retribuite;

– tariffe minime salariali, comprese le tariffe maggiorate per lavoro straordinario;

– salute, sicurezza e igiene sui luoghi di lavoro;

– non discriminazione tra uomo e donna;

– condizioni di cessione temporanea di lavoratori da parte delle agenzie di somministrazione.

Con particolare riguardo alle tariffe salariali il Ministero, con risposta ad interpello n. 33/2010, ha precisato “che nella nozione di retribuzione devono essere ricomprese tutte le erogazioni patrimoniali del periodo di riferimento,

al lordo di qualsiasi contributo e trattenuta. La retribuzione cosi intesa, va dunque più strettamente legata alla definizione di “reddito da lavoro dipendente” valida ai fini fiscali e nella stessa rientrano tutte le erogazioni patrimoniali aventi causa nel rapporto di lavoro in senso lato, senza operare una comparazione per singola voce retributiva che risulterebbe comunque impossibile in considerazione dei differenti regimi normativi applicabili nei diversi Paesi europei”.

Ciò premesso, al fine di garantire una adeguata tutela economica ai lavoratori distaccati nel territorio italiano, il salario minimo deve ricomprendere le seguenti voci retributive:

– paga base;

– elemento distinto della retribuzione (voce retributiva collegata, coma la paga base, alla qualifica contrattuale);

– indennità legate all’anzianità di servizio (se collegate all’inquadramento contrattuale in gruppi retributivi e/o alla natura del lavoro svolto);

– superminimi (individuali o per gruppi di lavoratori se collegati all’inquadramento contrattuale in gruppi retributivi e/o alla natura del lavoro svolto);

– retribuzioni corrispettive per prestazioni di lavoro straordinario, notturno e festivo;

– indennità di distacco (se compensative del disagio dovuto all’allontanamento dei lavoratori dal loro ambiente abituale);

– indennità di trasferta.

Il disposto di cui al comma 3 stabilisce, inoltre, una tutela ancor più incisiva ove si sia in presenza di un rapporto di somministrazione transnazionale di lavoro per effetto dell’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 35, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015, in virtù del quale “per tutta la durata della missione presso l’utilizzatore, i lavoratori del somministratore hanno diritto, a parità di mansioni svolte, a condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelli dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore”. In altri termini, per i lavoratori somministrati a livello transnazionale, viene dunque garantita una sostanziale parità di trattamento – non limitata né ai livelli minimi di condizioni di lavoro né alle materie del c.d. “nocciolo duro” – rispetto ai lavoratori italiani alle dipendenze dell’utilizzatore, sia per quanto concerne i profili normativi che per quelli retributivi.

7. Responsabilità solidale

Con la previsione di cui all’art. 4, commi 4 e 5, il Legislatore ha inteso richiamare la normativa interna vigente in materia di responsabilità solidale negli appalti, somministrazione e trasporto, quale speciale forma di garanzia per i diritti retributivi e contributivi dei lavoratori subordinati, in tal modo rendendola applicabile anche ai prestatori di servizi che distaccano lavoratori sul territorio nazionale (cfr. interpello ML n. 33/2010)

Ai sensi della citata norma, nelle ipotesi di una prestazione transnazionale di servizi attuata mediante contratto di appalto o subappalto, sarà applicabile il regime previsto dall’articolo 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276 del 2003, secondo il quale in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro risponde in solido con l’appaltatore e con ciascuno degli eventuali subappaltatori per i crediti retributivi (comprese le quote di trattamento di fine rapporto), contributivi ed i premi assicurativi maturati nel periodo di esecuzione del contratto di appalto.

La responsabilità solidale può essere attivata dal lavoratore entro e non oltre i due anni dalla cessazione dell’appalto e trova applicazione in tutti i settori economico/produttivi, coinvolgendo ciascun soggetto della filiera ovvero sia il committente che l’appaltatore, nonché gli eventuali subappaltatori.

Si rappresenta che un regime di responsabilità solidale sostanzialmente analogo è previsto anche in caso di somministrazione di lavoro ex art. 35, comma 2, D.Lgs. n. 81/2015 e, salvo alcune peculiarità, nell’ipotesi di trasporto di merci ex art. 83 bis, commi da 4 bis a 4 sexies, del D.L. n. 112/2008 (conv. da L. n. 133/2008).

Con particolare riferimento alla disciplina in materia di trasporto di cose per conto terzi, la norma richiamata prevede una particolare forma di due diligence in base alla quale il committente o il vettore in caso di subvezione, al fine di scongiurare il vincolo solidale, è tenuto a verificare, prima della stipulazione del contratto, la regolarità retributiva, previdenziale e assicurativa dell’imprenditore cui intende rivolgersi per l’esecuzione della prestazione. A tale scopo essi devono acquisire, all’atto della conclusione del contratto, un’attestazione rilasciata dagli enti previdenziali del Paese di provenienza, di data non anteriore a tre mesi, dalla quale risulti che l’azienda è in regola con il versamento dei contributi assicurativi e previdenziali (documento equivalente al DURC); ciò in considerazione del fatto che le nuove modalità di riscontro telematico previste dall’art. 83 bis, comma 4 quater, non possono trovare applicazione nei casi di distacco transnazionale, riferendosi l’albo nazionale ivi menzionato alle sole persone fisiche e giuridiche aventi sede in Italia. La previsione richiamata stabilisce che il committente o il vettore che non esegue la verifica dell’attestazione di cui sopra resta obbligato in solido con il vettore nonché con ciascuno degli eventuali sub vettori, entro il limite di un anno dalla cessazione del contratto di trasporto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi agli enti competenti, limitatamente alle prestazioni ricevute durante l’esecuzione del contratto di trasporto.

In ordine al settore del trasporto, si ritiene utile chiarire infine che nelle ipotesi di somministrazione transnazionale (somministrazione di autisti da parte di agenzie di lavoro temporaneo di altro Stato membro presso una azienda utilizzatrice italiana ex art. 1, comma 2) trova applicazione il regime di responsabilità solidale previsto dall’art. 35, comma 2, D.Lgs. n. 81/2015 e non quello di cui al citato art. 83 bis. Ciò in considerazione della ratio della disciplina relativa alla responsabilità solidale evidentemente volta a tutelare il lavoratore che, in caso di rapporto di lavoro in somministrazione, considerata la specialità della tipologia contrattuale e la posizione di maggiore debolezza del lavoratore somministrato, merita la specifica tutela rafforzata ivi prevista.

6. Provvedimento di diffida accertativa

Al fine di tutelare i crediti retributivi vantati dai lavoratori in regime di distacco comunitario il personale ispettivo può adottare la diffida accertativa, ex art. 12 D.Lgs. 124/2004.

Tenuto conto degli eventuali problemi di esecuzione della diffida accertativa nei casi in cui il datore di lavoro distaccante non abbia beni aggredibili in territorio italiano e vi siano difficoltà nell’attuazione delle procedure di delibazione internazionale, il provvedimento de quo, avente ad oggetto il differenziale retributivo accertato in sede ispettiva, viene notificato al datore di lavoro (impresa comunitaria distaccante), anche attraverso la persona di contatto di cui all’art. 10, comma 3, lett. b), D.Lgs. n. 136/2016. Inoltre, si ritiene che la diffida accertativa possa essere comunicata anche al distaccatario/committente/utilizzatore stabilito in Italia, in qualità di obbligato solidale, nei confronti del quale non avrà comunque efficacia di titolo esecutivo, stante la formulazione letterale dell’art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004

Quanto sopra risponde ad una duplice finalità: da un lato, consente all’impresa stabilita in Italia di avere piena conoscenza, sin dall’inizio, delle somme per le quali la stessa risulta obbligata solidale, dall’altro, informa i lavoratori coinvolti della presenza dell’obbligato solidale, quale ulteriore salvaguardia dei crediti retributivi accertati.

8. Adempimenti amministrativi in capo al prestatore di servizi

Con riferimento alle specifiche misure volte a prevenire e contrastare fenomeni elusivi e abusi in materia di distacco transnazionale di lavoratori, il Legislatore ha introdotto nell’ordinamento interno tutti gli adempimenti amministrativi contemplati dall’art. 9, paragrafo 1, lett. da a) ad f) della Direttiva Enforcement, adempimenti che dovranno essere oggetto di verifica da parte del personale ispettivo.

In particolare, l’art. 10 del decreto sancisce in capo al prestatore di servizi:

– l’obbligo di effettuare la comunicazione di distacco del personale impiegato in Italia, secondo le modalità definite nell’apposito D.M. 10 agosto 2016 e nei relativi allegati (art. 10, commi 1 e 2) e meglio precisate con circolare INL n. 3 del 22 dicembre 2016;

– l’obbligo di conservare, predisponendone copia cartacea o elettronica in lingua italiana, la documentazione in materia di lavoro (contratto di lavoro o altro documento contenente le informazioni di cui agli artt. 1 e 2, D.Lgs. n. 152/1997), i prospetti paga, i prospetti indicanti l’inizio, la fine e la durata dell’orario di lavoro giornaliero, la documentazione comprovante il pagamento delle retribuzioni o altro atto equivalente, nonché il certificato relativo alla legislazione di sicurezza sociale applicabile (modello A1) e la comunicazione/registrazione pubblica di instaurazione del rapporto di lavoro in quanto funzionale all’accertamento della circostanza che il lavoratore distaccato non sia sconosciuto alle autorità competenti del Paese di provenienza (art. 10, comma 3, lett. a). Si sottolinea che il legislatore nazionale, in ossequio al principio di proporzionalità, ha ancorato la vigenza del suddetto obbligo per tutto il periodo del distacco e fino a due anni dalla sua cessazione, adottando come parametro di riferimento il termine di decadenza previsto per la responsabilità solidale del committente di cui all’art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003;

– l’obbligo di designare un referente elettivamente domiciliato in Italia, incaricato di esibire, inviare e ricevere documenti (ad es. richieste di informazioni e di documentazione, notifica dei verbali di primo accesso e di accertamento delle violazioni) in nome e per conto dell’impresa distaccante, ivi compresa la formale notifica di atti alla società stessa da parte del personale di vigilanza. Il legislatore anche in questo caso ha ancorato la vigenza di tale obbligo per tutto il periodo del distacco e fino a due anni dalla sua cessazione. In mancanza di tale designazione, ferma restando l’applicazione della sanzione di cui all’art. 12, comma 3 è previsto che “la sede dell’impresa distaccante si considera il luogo dove ha sede legale o risiede il destinatario della prestazione di servizi” (art. 10, comma 3, lett. b). L’individuazione del suddetto referente – che può essere un lavoratore dell’impresa distaccante, il soggetto distaccatario, un consulente del lavoro o altro professionista, ovvero un soggetto di fiducia del distaccante, purché elettivamente domiciliato in Italia – è chiaramente tesa ad agevolare l’interazione degli organi di vigilanza con le aziende interessate da verifiche ispettive, nonché la notifica degli eventuali atti di contestazione in modo da garantire l’effettività dei controlli e delle sanzioni. Va precisato che il soggetto destinatario degli obblighi di cui al citato art. 10 e degli eventuali provvedimenti sanzionatori resta comunque il solo prestatore dei servizi e mai il menzionato referente (art. 10, comma 3, lett. b);

– l’obbligo di designare una persona, anche coincidente con quella di cui sopra, che agisca in qualità di rappresentante legale, al fine di mettere in contatto le parti sociali interessate con il prestatore di servizi per una eventuale negoziazione collettiva; tale persona di contatto non ha l’obbligo di essere presente nel luogo di svolgimento dell’attività lavorativa in distacco, ma deve rendersi disponibile in caso di richiesta motivata (art. 10, comma 4).

9. Sanzioni

In ossequio ai principi comunitari di effettività e proporzionalità delle sanzioni, la cogenza dei nuovi obblighi documentali previsti dalla normativa di recepimento nei confronti del prestatore di servizi transnazionale è assicurata da un adeguato regime sanzionatorio.

In particolare, ai sensi dell’art. 12, D.Lgs. n. 136/2016:

– la violazione dell’obbligo di comunicare il distacco è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 150 a 500 euro, per ogni lavoratore interessato (comma 1) cfr. circolare INL n. 3 del 22 dicembre 2016;

– la violazione dell’obbligo di conservare, durante il periodo di distacco e fino a due anni dalla sua cessazione, predisponendone copia in lingua italiana, il contratto di lavoro o altro documento contenente le informazioni di cui agli artt. 1 e 2, D.Lgs. n. 152/1997, i prospetti paga, i prospetti che indicano l’inizio, la fine e la durata dell’orario di lavoro giornaliero, la documentazione comprovante il pagamento delle retribuzioni o i documenti equivalenti, la comunicazione pubblica di instaurazione del rapporto di lavoro o documentazione equivalente e il certificato relativo alla legislazione di sicurezza sociale applicabile, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 3.000 euro, per ogni lavoratore interessato (comma 3, lett. a);

– la violazione dell’obbligo di designare, durante il periodo di distacco e fino a due anni dalla sua cessazione, un referente elettivamente domiciliato in Italia incaricato dal distaccante di esibire, inviare o ricevere atti e documenti, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 6.000 euro (comma 3, lett. b);

– la violazione dell’obbligo di designare, per tutto il periodo di distacco, un referente con poteri di rappresentanza per tenere i rapporti con le parti sociali interesse a promuovere la negoziazione collettiva di secondo livello con obbligo di rendersi disponibile in caso di richiesta motivata delle parti sociali, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 6.000 euro (comma 4).

In ogni caso, gli importi delle suddette sanzioni amministrative – in base all’art. 32, comma 1, lettera d), L. n. 234/2012 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea) – non possono essere superiori a 150.000 euro rispetto alle violazioni sancite da ciascun comma di quelli sopra elencati (art. 12, comma 4, D.Lgs. n. 136/2016). Alle violazioni in argomento è inoltre applicabile l’istituto della diffida di cui all’art. 13 del D.Lgs. n.124/2004.

L’obbligo di conservazione, di cui all’art. 10, comma 3, lett. a), è da ritenersi invece direttamente finalizzato all’esibizione agli organi di vigilanza di copia in lingua italiana della documentazione ivi contemplata. Pertanto la relativa violazione è configurabile sia nel caso di mancata esibizione sia nell’ipotesi di consegna di documenti non tradotti in lingua italiana.

CIRCOLARE N. 1/2017 del 09/07/2017 Ispettorato Nazionale del Lavoro<

CIRCOLARE N. 1/2017, INL CIRCOLARI REGISTRAZIONE N. 1 DEL 09/01/2017. Oggetto: D.Lgs. n. 136/2016 – attuazione della Direttiva 2014/67/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 – distacco transnazionale di lavoratori – indicazioni operative al personale ispettivo.<

 

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